Feste di Natale e Capodanno: un “mesone” tra maratone di cibo e processioni

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In Sicilia non si fa il Cenone di Natale, ma il “Mesone”, perché la sera del 7 dicembre, vigilia dell’Immacolata, comincia la lunga maratona di cibo e di giocate in compagnia di amici e familiari che si conclude il 6 gennaio dell’anno successivo.

Il protagonista della vigilia è “U Sfinciune” (sfincione), uno dei migliori risultati della cucina povera siciliana. Alimento che fortunatamente non subisce lo “stanco racconto” sul cibo da strada palermitano.

La vigilia è preparazione delle numerose processioni delle statue dell’Immacolata in tantissimi paesi della Sicilia. A Palermo è compito della “Confraternita del Porto e riporto” portare a spalla la statua argentea, custodita all’interno della Basilica di San Francesco d’Assisi.

La piazza della chiesa è sede di una delle più note ed antiche “cattedrali” della gastronomia cittadina che fornisce la dose di carboidrati, vitamine e grassi ai fedeli. Nella stessa piazza si svolge l’ultima parte del corteo, che tocca prima la Basilica di San Domenico e poi la Cattedrale. Le luminarie fanno da cornice, la statua viene posizionata in un lato, uno dei confrati intona il Magnificat e gli altri rispondono in coro, finito il canto, si rialza la statua e si posiziona al centro: tutto è stato compiuto, i confrati si posizionano a coppie, uno di fronte l’altro, si alza un’ultima voce “Tremaaaa l’unferno, Triunfaaa Maria”, la banda suona la carica e di corsa si rientra in chiesa. Può benissimo essere candidata a “Patrimonio immateriale dell’Unesco”.

La seconda tappa che ci avvia al Natale è il 13 dicembre, festa di Santa Lucia, onorata per aver debellato una carestia che aveva colpito la popolazione, si fa digiuno di grano e ci si abbuffa di arancine e cuccia. E con questi due anticipi religiosi e gastronomici, si arriva nel pieno della festività che viene consacrata dal meglio che il sentimento religioso e “pancioso” panormita sa esprimere.

Un triduo fra il 24 e 26 dicembre mette in tavola l’apoteosi dei sapori. La regina dei primi piatti è la “Pasta al forno”, altresì detta in dialetto “pasta cu fuinnu”: il formato della pasta sono gli “anelletti”, formato che viene venduto al 99% in città ed il restante 1% nel resto del mondo. In provincia, dove è più facile avere un forno a legna, pochi eletti, hanno il privilegio di mangiare “a pasta ncaciata”.

L’insalata palermitana si innesta fra i primi ed i secondi, arancia, scalogno, aringa affumicata, finocchio fresco, mangiata rigorosamente con il pane di rimacino, ancora meglio con “panuzzu i murriale” (pane di Monreale).

Il secondo è “u bruciulune”, in lingua tricolore chiamato “falsomagro” perché usando parole contraddittorie si spera di non ingrassare. La salsiccia c’è, e deve essere rigorosamente senza semi di finocchio, mentre ci devono essere le patate al forno. Se fino ad adesso ci siamo occupati della prosa, parlando dei cannoli, dei “cucciddati” (buccellati), della cassata al forno, la tavola si fa poesia.

Arance, mandarini, le cui bucce servono a puntare i numeri della tombola. Fanno da merenda pomeridiana durante le giocate A Cucù, Sette e mezzo e Minichieddu, lo “scaccio” ed il passito comprato qualche mese prima in un fine settimana a Lipari, a Salina oppure a Pantelleria.

Il 6 gennaio finisce il “Mesone”, si ritorna in piazza San Francesco per una di festa di Carità dove ognuno riceve la sua “vastedda” di “Pani ca meusa” schietta, maritata e soddisfatta. (di Francesco Paolo Ciulla, pubblicato sul mensile “Cultura Identità”)