Lo scenario criminale catanese mantiene solidi gli stessi nomi, le stesse attività, nuovi scambi con l’estero e la presenza di manovalanza straniera è quello che emerge dal rapporto semestrale con il quale gli uomini della Direzione investigativa antimafia analizza dinamiche e operazioni che hanno caratterizzato il primo semestre del 2017.
Accanto alle storiche famiglia di Cosa nostra, Santapaola, Ercolano e Mazzei, c’è la cosca dei Laudani e quella dei Cappello. Quest’ultima, stando al periodo di riferimento del documento, viene data in forte espansione nel territorio di Siracusa e non solo. Ormai da tempo, a Catania, i seguaci del boss Salvatore Cappello provano a spodestare dal trono di egemoni addirittura la famiglia Santapaola.
Dalle mappe fornite dall’organismo investigativo nella città di Catania si evince quanto i Santapaola siano presenti, mantenendo quindi la loro costante tradizione, nei quartieri di San Giovanni Galermo, Librino, Zia Lisa, Picanello e Civita. I Cappello avrebbero, invece, consolidato il loro ruolo a Monte Po, un tempo regno di Cosa nostra con la famiglia Steano, Cibali, Nesima, San Berillo e San Cristoforo. Il resto delle cosche si dividono gli altri spazi: a piazza Cavour, zona Borgo, sono attivi i Pillera mentre Canalicchio è sotto il controllo dei Laudani. Per quanto riguarda la provincia i Santapaola continuano a organizzarsi in gruppi, mantenendo il potere tra Palagonia, Bronte, Acireale e Aci Catena. Tra Maletto, Randazzo e Bronte sono presenti anche i Mazzei mentre i Cappello continuano a insistere nella zona di Catenanuova, provincia di Enna, e Portopalo di Capo Passero nel siracusano.
La mafia in rosa. Un ruolo fondamentale è caratterizzato alla figura delle donne che, legate da vincoli di parentela e compartecipi negli interessi affaristici dei clan, con posizioni predominanti in seno alla compagine criminale. Per il raggiungimento dei loro obiettivi, le consorterie da tempo adottano un comportamento di “basso profilo” che, in linea con la già richiamata strategia dell’“inabissamento”, consente l’infiltrazione silente del tessuto socio-economico, ricorrendo anche alla “cooperazione” tra più gruppi criminali”. Come Maria Rosaria Campagna, moglie di Salvatore Cappello, il boss, nonostante la detenzione al carcere duro, avrebbe continuato a gestire il suo clan grazie alla complicità della moglie che forniva informazioni da e per il detenuto. Ed è proprio Maria Rosaria Campagna ad aver fatto arrestare Massimiliano Salvo, ritenuto dagli inquirenti un boss in forte ascesa nonché rampollo dello storico capomafia Pippo ‘u carruzzeri.
I settori ambiti dai clan rimangono sempre gli stessi: edilizio, appalti, trasporti, con maggiore attenzione quelli su gomma, inoltre le energie alternative, le reti della grande distribuzione, l’agroalimentare, le scommesse clandestine, lo smaltimento dei rifiuti e la gestione delle discariche. Indicativa a tal proposito, è l’operazione “Le Piramidi” conclusa nel mese di marzo dai Carabinieri, grazie alla quale è stato scoperto come alcuni imprenditori, attivi, tra l’altro, nello smaltimento dei rifiuti, costituissero il braccio economico-imprenditoriale di un noto elemento collegato alla famiglia Santapaola-Ercolano.
Devoti alle loro attività. Ruolo primario in questo scenario criminale resta sempre il traffico e lo spaccio di stupefacenti come dimostrano varie attività di polizia concluse nel semestre. Tra queste, spicca l’operazione Orfeo, condotta a gennaio, dai Carabinieri, che ha portato all’arresto di 19 affiliati alla famiglia Santapaola-Ercolano – relativi al gruppo di Picanello – ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso finalizzata, appunto, al traffico e allo spaccio di stupefacenti. Altro fenomeno diffuso sul territorio è quello delle estorsioni, le cui dimensioni appaiono ancora oggi complesse da stimare, anche per la tendenza non infrequente a coprire dette attività con condotte di favoreggiamento.
La mafia in questo settore si è evoluta e fa sempre meno ricorso alle richieste di denaro, infatti “spesso le estorsioni sono camuffate da imposizioni di prezzi, forniture o servizi, dalla forzata assunzione di dipendenti o dai subappalti nei lavori”.
La mafia agricola. “Ricadono nelle mire di Cosa nostra i patrimoni immobiliari rurali –scrivono i detective – strumenti utili per beneficiare di fondi pubblici ma anche per perpetrare truffe ai danni dello Stato attraverso l’impiego fittizio di braccianti”, alcuni riferimenti anche alla mafia agricola presente particolarmente nei territori dei monti Nebrodi, nei Comuni di Bronte, Maniace, Randazzo e Cesarò. Nel mese di febbraio, in provincia di Catania, nell’ambito dell’operazione “Nebrodi” condotta è stato eseguito il fermo di 9 persone affiliate alla famiglia Santapaola-Ercolano, operanti anche nei territori di Bronte, Maniace e Randazzo. Le stesse, al fine di accedere ai contributi per l’agricoltura erogati dall’Unione Europea, avevano cercato di accaparrarsi, con modalità mafiose e con aggressioni nei confronti degli allevatori, la gestione di estesi appezzamenti agricoli, appartenenti a privati cittadini. Importantissima anche l’operazione “Podere mafioso”, conclusa nel mese di aprile dalla Guardia di finanza, che ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un’organizzazione criminale composta da 17 soggetti, e promossa da 3 sodali del clan Laudani. Il gruppo, avvalendosi della collaborazione di ragionieri, periti commerciali e di un dipendente dell’Ente previdenziale, aveva simulato l’assunzione di circa 500 braccianti agricoli, frodando oltre 1 milione di euro di indennità di disoccupazione. Percepiva, invece, un’indebita retribuzione previdenziale uno dei due soggetti arrestati, all’inizio dell’anno, dalla Dia di Catania nell’ambito dell’operazione “Lazarus”. Le indagini hanno, infatti, dimostrato come il soggetto in parola – elemento di primo piano del clan Santapaola-Ercolano avesse beneficiato, attraverso patologie fraudolentemente attestate grazie alla compiacenza di una decina di medici specialisti, oltre che della menzionata retribuzione previdenziale, anche di una misura alternativa alla detenzione in carcere.
Nel mese di maggio, ancora la Dia di Catania, ha eseguito un sequestro di beni per oltre mezzo milione di euro, nei confronti di un elemento di spicco del gruppo di Mascalucia, anche questo facente parte della famiglia Santapaola-Ercolano. Il territorio continua a caratterizzarsi anche per una diffusa disponibilità di armi, a riprova di un una spiccata propensione a commettere reati, anche facendo ricorso ad azioni violente. Non a caso, anche nel semestre si segnalano episodi di intimidazione, perpetrati con il danneggiamento di autovetture, di soggetti che ricoprono cariche amministrative o politiche. Per quanto riguarda la criminalità straniera, nel territorio della provincia etnea appare consolidata la presenza di gruppi extracomunitari dediti, previo assenso delle consorterie mafiose, allo sfruttamento della prostituzione, al caporalato, alla vendita di prodotti contraffatti e al riciclaggio di denaro. In quest’ultimo campo spicca la “specializzazione” dei gruppi criminali cinesi, in grado di sfruttare i canali della rete dei money transfer.
Il narcotraffico. Tra le principali “voci attive” del bilancio mafioso permangono ancora gli introiti provenienti dal narcotraffico, mercato remunerativo che comporta, per esigenze di approvvigionamento, la necessità di entrare in contatto con le ‘ndrine calabresi, i clan campani e pugliesi, nonché le organizzazioni straniere. Nel semestre, non sono tuttavia mancate evidenze, circa spedizioni di cocaina dal Sudamerica, organizzate direttamente da soggetti organici alle famiglie palermitane. L’interazione criminale dei gruppi siciliani si rileva, come accennato, anche nei confronti di cittadini extracomunitari irregolari, che vengono lasciati operare, con ruoli marginali e di subordinazione, in diversi settori delinquenziali. Le bande di criminali stranieri sembrano proporsi, infatti, nei confronti delle consorterie siciliane, ricercando forme di consociazione utili ad ottenere una sorta di protezione, o quantomeno un placet ad esercitare lo sfruttamento della prostituzione (appannaggio di albanesi, rumeni e nigeriani) e del lavoro nero (attuato da cinesi e nordafricani), nonché la contraffazione e lo smercio di prodotti falsificati (anche in questo caso ricorrono cinesi e nordafricani). In altri casi, la presenza di criminali stranieri riflette l’operatività di organizzazioni – nate in territorio estero e migrate in Italia – che divengono trait d’union con i sodalizi operanti nei Paesi d’origine.
L’evoluzione della mafia. Una mafia, quindi, al passo coi tempi che cerca nuove strategie lontano dalle guerre di sangue ma radicata in un sistema economico sempre in espansione. (di katya maugeri per sicilianetwork.info)