Montalbano Elicona: truffa ai vecchi genitori di una vittima di “lupara bianca”, arrestato

0
299

Truffa per anni gli anziani genitori di una vittima di lupara “bianca” facendo loro credere di essere il figlio e ruba tutto. I Carabinieri della Comando Provinciale di Messina hanno eseguito un’ordinanza di  custodia cautelare in carcere, emessa dal gip del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, su richiesta della locale Procura della Repubblica, guidata dal procuratore capo Emanuele Crescenti, a carico di Francesco Simone, 44 anni, di Basicò, gravemente indiziato del reato di truffa aggravata nei confronti dei due anziani, genitori di una vittima di “lupara bianca” il cui corpo non è stato mai rinvenuto.

Le indagini sono partite dalle dichiarazioni fatte, ai Carabinieri della Stazione di Montalbano Elicona, da una donna che aveva intrattenuto una relazione sentimentale con Francesco Simone, la quale raccontava una storia all’apparenza inverosimile.

La donna ha riferito ai Carabinieri che Francesco Simone da oltre 10 anni intratteneva contatti, con cadenza giornaliera, con i genitori dello scomparso Domenico Pelleriti, cui aveva fatto credere che il figlio si trovava al Nord Italia e gli richiedeva denaro da inviare appunto a Domenico Pelleriti per le cure mediche di cui necessitava ed aggiungeva che Simone, per convincere gli anziani a consegnargli il denaro, li ingannava simulando al telefono di essere il loro figlio camuffando la sua voce.

Francesco Simone poi andava personalmente a ritirare il denaro in casa degli anziani che puntualmente gli consegnavano convinti di aiutare loro figlio. Talvolta, invece, si faceva lasciare il denaro nella cassette della posta di una casa cantoniera.

Le indagini, immediatamente avviate dalla Stazione Carabinieri con i militari della Compagnia Carabinieri di Barcellona Pozzo di Gotto, svolte sotto la direzione del sostituto Procuratore della Repubblica Rita Barbieri, hanno permesso di fare luce su una vicenda incredibile e all’apparenza paradossale, ma in realtà drammatica e di grande crudeltà il cui antefatto è fondamentale, per comprendere la portata del dramma vissuto dalle vittime e la tortura psicologica patita.

Nel luglio del 1993 Domenico Pelleriti, è stato vittima della “lupara bianca”, per mano della mafia barcellonese e, dopo la sua scomparsa, il corpo, trascorsi 25 anni, non è mai stato ritrovato. Su questo delitto ha fatto luce recentemente l’indagine denominata Gotha VI svolta dai Carabinieri del Comando Provinciale e della Sezione del Ros di Messina che ha disvelato i contorni del delitto del giovane, anche attraverso le dichiarazioni autoaccusatorie di alcuni degli autori del grave fatto di sangue che hanno intrapreso il percorso di collaborazione con la giustizia permettendo di risalire ai mandanti, agli esecutori ed al movente dell’omicidio.

Il giovane Pelleriti, pur non appartenendo alla criminalità organizzata, era coinvolto in un “giro” di ladri d’auto ed era sospettato di avere compiuto dei furti in danno di un esercizio di vendita di ceramiche che pagava “il pizzo” alla mafia. I capi della “famiglia barcellonese” non potevano tollerare che la loro autorità venisse messa in discussione e, pertanto, avevano deciso di ucciderlo, assieme ad un altro giovane sospettato di avere partecipato ai furti.

Con l’aiuto di un complice del Pelleriti lo avevano attirato in un tranello con una banale scusa e dopo averlo fatto condurre in campagna, lo avevano bloccato e lo avevano portato in un casolare dove era stato sottoposto a torture fisiche per fargli confessare il furto di cui lo incolpavano; ma Pelleriti non aveva ammesso alcuna responsabilità. Poi, dopo averlo condotto all’interno della fossa che avevano scavato per lui, lo avevano finito con due colpi di pistola al capo. Il cadavere era stato seppellito in un agrumeto ma le ricerche svolte, a distanza ormai di anni dal delitto, non hanno consentito di recuperare il corpo, anche in considerazione del fatto che quel terreno era stato in gran parte disboscato e spianato attraverso pesanti escavatori che potrebbero avere disperso i poveri resti.

Nel dramma della sparizione del figlio, vissuto dagli anziani genitori di Pelleriti si è inserito Francesco Simone il quale, per oltre un decennio, approfittando del dolore dei coniugi, ha messo in scena una teatrale tragedia, per indurre gli anziani al pagamento costante di somme di denaro, facendo loro credere che il figlio scomparso fosse invece vivo e malato, ricoverato in un imprecisato luogo di cura e che dalle dazioni di denaro dei genitori dipendesse la sua sopravvivenza.

L’indagine, avviata a seguito delle dichiarazioni ricevute dai Carabinieri di Montalbano Elicona, ha permesso di acclarare le continue ed asfissianti richieste di denaro avanzate
da Francesco Simone, che ha fatto credere agli anziani coniugi, attraverso artifizi e raggiri ma anche con minacce e violenze psichiche nei loro confronti, che il loro figlio fosse realmente in pericolo di vita e che, solo grazie al denaro fornito dai familiari ed alla sua intercessione, avrebbe ricevuto le cure salvavita.

Francesco Simone ha di fatto annullato psicologicamente la coppia, facendogli vivere, con una cattiveria inusitata, un clima di paura, intimidazione e sofferenza e approfittando dei loro sentimenti materni li ha raggirati. I genitori dello scomparso, vivendo uno stato emotivo straziante, da parte loro, hanno realmente creduto che il loro figlio fosse vivo ed in pericolo e che la sua incolumità dipendesse esclusivamente dal denaro che fornivano attraverso Simone. Temevano che l’interruzione del rapporto con Francesco Simone avrebbe causato, come conseguenza, l’interruzione del rapporto con il figlio Domenico il quale non solo era molto malato ma era anche in fuga dalla vendetta della mafia e, pertanto, per salvarlo hanno dilapidato, negli anni, ogni loro risorsa economica.

Nell’arco di soli 15 giorni le indagini hanno permesso di riscontrare quanto denunciato ed hanno documentato ben 11 consegne di denaro a Francesco Simone – dell’ordine di 50 o 100 euro ciascuna – denaro fornito proprio dai pochi guadagni dei genitori ottantenni del Pelleriti e da quelli della zia di 86 anni, sorella della madre, tutti e tre titolari di una magra pensione da bracciante agricolo. Le consegne di denaro, proprio come nel racconto della donna, sono avvenute per la maggior parte dei casi davanti l’abitazione dei coniugi, dove l’arrestato, passando in auto, li recuperava direttamente abbassando il finestrino. In altre occasioni, invece, l’indagato, nel timore di essere seguito dalle forze di polizia, faceva nascondere ai coniugi il denaro all’interno di una cassetta postale della casa cantoniera nei pressi di un’abitazione che usava.

Si è inoltre verificato come i coniugi Pelleriti, che vivono esclusivamente della loro pensione di braccianti agricoli, versino ormai da anni in una situazione economica drammatica, essendo stati spogliati di ogni loro bene e denaro, tanto che si sono disfatti anche di un immobile ed alcuni terreni e successivamente, in preda alla disperazione, sono stati costretti a contrarre debiti per aderire alle richieste del Simone, il quale nel corso degli anni gli ha sottratto oltre 200mila euro.

I malcapitati nella spasmodica ricerca di denaro per soddisfare le pretese del truffatore sono arrivati addirittura a considerare l’idea di rubare i risparmi della nipote, figlia dello scomparso.

In numerose occasioni, Simone, dopo aver ricevuto un diniego alla consegna del denaro da parte della coppia, perché ormai depauperata ed impossibilitata a fornire subito anche una pur minima somma, pur di giungere al suo scopo, telefonava agli anziani e simulava, camuffando la voce, di essere il loro figlio Domenico malato terminale ed in fin di vita manifestando la necessità di ottenere il denaro richiesto da Simone, il quale era il solo che avrebbe potuto provvedere a recapitarlo ai sanitari che lo assistevano. Attraverso questa vessazione Simone avvalorava ulteriormente il suo ruolo di indispensabile tramite agli occhi delle succubi vittime sempre indotte a credere che la mancata corresponsione delle somme richieste potesse cagionare la morte immediata del figlio per via dell’interruzione della somministrazione dei farmaci.

Fortunatamente le indagini dei Carabinieri ed il provvedimento cautelare della magistratura ha messo fine alla truffa grazie alla quale Francesco Simone per anni si è
“cibato” con la tragedia della famiglia Pelleriti cui la Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto ha voluto offrire sostegno psicologico attraverso la nomina di un consulente tecnico.