Movimento 5 Stelle: nel suo interrogatorio ai pm, Claudia La Rocca, indagata nella vicenda delle firme false per la presentazione della lista M5S per le Comunali 2012, ha raccontato quello che avvenne la convulsa sera di aprile, quando centinaia di sottoscrizioni vennero copiate dalle originali.
Nel verbale depositato agli atti del procedimento – come scrive Livesicilia – emergono chiari i segni della spaccatura fra il gruppo dei deputati siciliani di cui la La Rocca, indagata e rea-confessa fa parte, e i parlamentari nazionali “guidati” da Riccardo Nuti, pure lui indagato. La Rocca, che con le sue rivelazioni ha consentito ai magistrati di provare i falsi, ha detto ai pm di aver “ricevuto una telefonata da Ciaccio o Alice Pantaleone (entrambi indagati ndr), in cui si diceva che Riccardo Nuti aveva avuto un’accesa discussione con Samanta Busalacchi (attivista indagata ndr) perché quest’ultima aveva commesso un errore nell’indicazione del luogo di nascita di Giuseppe Ippollito e tra gli attivisti si temeva che tale errore avrebbe potuto compromettere la presentazione della lista”.
Da qui la convocazione del 2 aprile 2012 nella sede palermitana del Movimento, in un piccolo ufficio in via Sampolo. La Rocca fa l’elenco delle persone con cui si trovò a discutere: “Giorgio Ciaccio, Riccardo Nuti, Samanta Busalacchi, Claudia Mannino e presumo il marito Pietro Salvino, e Alice Pantaleone”. Al suo arrivo la decisione era già stata presa, bisognava ricopiare le firme: “Mi convinsi che tutto sommato si trattava di ripetere, sia pure falsamente, firme reali. Abbiamo diviso i moduli da ricopiare, oltre a me ricordo che c’erano alla mia destra Claudia Mannino e Samanta Busalacchi, e Giorgio Ciaccio, che ricordo nell’atto di ricopiare, e la Pantaleone, ma non sono sicuro che firmasse anche lei”.
“Il referente di tutta l’attività – ha proseguito – era sempre Riccardo Nuti, che era il più interessato e che aveva rimproverato la Busalacchi che era mortificata perché si sentiva responsabile dell’errore. Non ho difficoltà a ritenere che sia stato lui l’ispiratore della copiatura perché era il candidato a sindaco, candidato capolista e il più preoccupato di una possibile esclusione”.
Del successivo e decisivo passaggio dell’autenticazione delle firme “immagino che si sia occupato Francesco Menallo (anche lui indagato ndr) che era avvocato ed era la persona a cui facevamo riferimento in quanto più grande di noi e più esperto di diritto”. Sono quattordici gli indagati. A undici i pm contestano la falsificazione materiale delle firme. A Nuti, per cui al momento non c’è la prova della commissione del falso materiale, si imputa, invece, l’avere fatto uso delle sottoscrizioni ricopiate.
Il falso materiale riguarda Samanta Busalacchi, Giulia Di Vita, Claudia Mannino, Alice Pantaleone, Stefano Paradiso, Riccardo Ricciardi, Pietro Salvino, Tony Ferrara, Giuseppe Ippolito e i deputati regionali Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca. Il tredicesimo indagato, il cancelliere del tribunale Giovanni Scarpello, è accusato di avere dichiarato il falso affermando che erano state apposte in sua presenza firme che invece gli sarebbero state consegnate dai 5 Stelle. Reato di cui risponde in concorso con Francesco Menallo, avvocato ed esponente dei 5 Stelle che consegnò materialmente le firme al pubblico ufficiale per l’autenticazione.
Per la deputata La Rocca “un atteggiamento meschino, non di certo fatto in buona fede o per amore della verità, non mi risulta infatti che le persone in questione (alcune di loro ai tempi candidate) abbiano sporto denuncia al momento dell’accaduto”.
“Voglio avere fiducia nella giustizia, solo e soltanto lei, come è indicato nella nostra Costituzione, deciderà se quanto accaduto meriterà una condanna, se sono colpevole – si sfoga -. La mia vita (e non solo mia) negli ultimi mesi è stata stravolta, vivo in una specie di limbo e nonostante il grande sostegno ricevuto dalla gente, dagli attivisti, dai miei colleghi, verosimilmente da ogni schieramento politico regionale e dalla correttezza della stampa locale, sono tanti i rospi che ho dovuto ingoiare, come il sapere del vile tentativo di qualcuno di mettere in dubbio la mia sanità mentale, al dovermi sentire una figura “scomoda” e “compromessa”, che da una parte continua a fare il suo dovere e a restituire parte del suo stipendio, ma dall’altra parte deve quasi nascondere il suo lavoro e altro”.
“Trovo questa storia una punizione spropositata e tristemente ingiusta. Diverse persone, amiche e sconosciute, mi dicono di non mollare e andare avanti, che io “sono il Movimento” e parole simili (che apprezzo, per carità…), la verità è che io non so né se voglio andare avanti, mi sento fortemente disillusa, né se avrò le condizioni per farlo. Non dobbiamo nasconderci dietro un dito, siamo alla fine della legislatura, prossimamente si rifaranno le liste per le regionali e ci sono tanti pronti a salire sul carro. Probabilmente non potrò candidarmi, anche se attualmente i miei carichi pendenti e casellario giudiziale sono perfettamente puliti e un codice etico indica i casi di incompatibilità con la carica di portavoce. Sarei ipocrita a dire che non mi sarebbe piaciuto rimettermi alla prova, dare seguito all’esperienza, e non c’è nulla di male ad avere sane ambizioni, ma non di certo per una squallida questione di “poltrone”, come un bravo “leone da tastiera” potrebbe commentare, ma per tutto il lavoro e grosso pezzo della mia vita che ho messo in questo percorso. Ma ripeto, non so se posso, né se voglio… Mi sento ormai da tempo sframmentata”.
“Io non voglio essere “quella che si è pentita per le firme false” – conclude -. Io sono i miei circa 280 atti (fra note, richieste accesso agli atti e atti parlamentari), i miei 214 mila euro restituiti ai cittadini, ma soprattutto sono i miei risultati. Sono stata definita “pentita” o “gola profonda” (a proposito della festa delle donne che si celebra oggi), ma nella realtà è il lavoro portato avanti in questi anni, questa sono io”. (ANSA).