Nella rete dell’operazione Passepartout resta impigliato l’assistente parlamentare Antonello Nicosia e il capomafia di Sciacca Accursio Dimino. I due sono stati arrestati, insieme ad altre tre persone, nel corso del blitz della Dda di Palermo eseguito dai militari della Guardia di finanza di Palermo e Sciacca e dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Agrigento.
Antonello Nicosia, l’esponente Radicale fermato, definiva il boss Matteo Messina Denaro “il nostro Primo ministro”. Non sapendo di essere intercettato,parlava della Primula rossa di Cosa nostra come del suo premier. Al telefono discuteva animatamente del padrino di Castelvetrano. E invitava il suo interlocutore parlare con cautela di Messina Denaro. “Non devi parlare a matula (a vanvera, ndr)”, diceva.
Per i magistrati sarebbe l’assistente parlamentare ed esponente radicale era “pienamente inserito nell’associazione mafiosa”. Chiedeva al clan di intervenire per riscuotere crediti, partecipava a summit con fedelissimi del boss Matteo Messina Denaro.
In uno degli incontri con gli uomini d’onore del clan di Sciacca, tenuto a Porto Empedocle a febbraio 2019, avrebbe parlato di una somma di denaro da far avere al capomafia latitante. Secondo i magistrati, Nicosia usando il rapporto di collaborazione con la deputata Giusy Occhionero, riusciva ad entrare in carcere e incontrare diversi boss. Dall’inchiesta emerge il coinvolgimento di Nicosia in un progetto relativo alle carceri che, scrivono gli inquirenti, “interessava direttamente il capomafia latitante”. In cambio Nicosia si aspettava di ricevere “un ingente finanziamento non ritenendo sufficienti i ringraziamenti che diceva di avere ricevuto dallo stesso ricercato”.
Nicosia e Dimino sentivano il fiato sul collo e progettavano di partire per gli Stati Uniti d’America nei prossimi giorni. Un viaggio programmato nei minimi dettagli con scali intermedi in Paesi del Medio Oriente utilizzando documenti falsi. Non sapendo di essere intercettato il 24 giugno scorso Dimino sollecitava Nicosia ad accelerare le procedure per il rilascio dei documenti necessari all’espatrio.
“L”hai spedita la cosa?” chiedeva il boss all’assistente parlamentare, che subito lo rassicurava: “sì sì sì, ah quella dell’America sì…”. “… e vediamo di accelerare così me ne vado che non si può stare più… con il caldo che c’è ok?”, aggiungeva Dimino, che dopo una settimana circa reiterava i propri solleciti, impaziente di espatriare.
“… il tempo quando se ne parla? Ce la faccio in un mese?” chiedeva a Nicosia, che rispondeva: “Penso meno”. I primi giorni dello scorso settembre le procedure per la partenza sembrano ultimate. A confermarlo c’è una telefonata intercettata dagli investigatori tra Nicosia e Francesco Dimino, fratello di Accursio. “Gli devo dare una bella notizia, tutte cose organizzate ho”, diceva l’assistente parlamentare finito oggi in manette, che lo scorso 14 ottobre chiedeva al capomafia di Sciacca di fargli avere i documenti per acquistare i biglietti aerei per gli Stati Uniti.
Una partenza in programma alla fine della settimana successiva e che lo stesso Nicosia confermava a un proprio conoscente a distanza di qualche giorno. “Chiudo sti progetti e poi me ne vengo a Roma perché poi l’altra settimana ancora vado in California, già ho fatto il biglietto”, diceva il 26 ottobre scorso. Da qui l’urgenza del provvedimento di fermo, non solo a carico dei due indagati che “manifestano in modo espresso e inequivocabile l’intenzione di darsi alla fuga e di rendersi irreperibili – scrivono i pm della Dda di Palermo -, ma anche nei confronti degli altri. Infatti, non può procedersi nei confronti di uno solo degli indagati senza che ciò si risolva per gli altri nell’anticipata conoscenza delle indagini a loro carico con ulteriore aggravamento del già sussistente pericolo di fuga”.