Caccia agli uomini di Matteo Messina Denaro, questa mattina un’operazione della polizia nel Trapanese ha portato in carcere 13 persone. Oltre un centinaio gli agenti appartenenti alle squadre mobili di Trapani e Palermo, coordinati dal Servizio centrale operativo, che hanno eseguito i fermi emessi dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano nei confronti di presunti appartenenti a Cosa nostra.
L’operazione, denominata “Ruina”, vede complessivamente venti indagati, nei confronti dei quali sono in corso perquisizioni con l’ausilio di unità cinofile e apparecchiature speciali per la ricerca di armi. Sotto indagine anche il sindaco di Calatafimi Segesta Antonino Accardo, al quale è stato notificato un avviso di garanzia con l’accusa di corruzione elettorale. Dalle intercettazioni è emerso che avrebbe pagato 50 euro a voto per le elezioni dell’anno scorso a sindaco. Insegnante in pensione, 73 anni, Accardo ha alle spalle alcune esperienze da assessore e consigliere comunale a Calatafimi.
Ma il blitz della polizia aveva un bersaglio ben definito, è Nicolò Pidone, già condannato per associazione mafiosa, il personaggio chiave dell’inchiesta. Pidone, ritenuto a capo della cosca di Calatafimi, organizzava summit di mafia in una dependance fatiscente vicina alla sua masseria; lì venivano assunte le principali decisioni che riguardavano il clan, secondo gli investigatori.
Tra gli indagati anche altri condannati per mafia come Rosario Leo, pregiudicato che vive a Marsala, e cugino di Stefano Leo, molto vicino al boss di Mazara del Vallo Vito Gondola, poi morto, e a Sergio Giglio, coinvolto nell’inchiesta sui favoreggiatori del capomafia Matteo Messina Denaro.
Nelle indagini sono finiti però anche insospettabili che, a vario titolo, hanno favorito le comunicazioni tra il capo della famiglia calatafimese, specie nel periodo in cui era sottoposto alla sorveglianza speciale, ed altri mafiosi, tra cui lo stesso Rosario Leo, anche’egli sorvegliato speciale.
Tra coloro che favorivano gli incontri e le comunicazioni c’era il 46enne imprenditore agricolo vitese Domenico Simone, hanno ricostruito le indagini. Fermati anche l’imprenditore Leonardo Urso, di origini marsalesi, enologo, accusato di favoreggiamento, e l’imprenditore agricolo Andrea Ingraldo, di origini agrigentine, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, per aver assunto fittiziamente Pidone per far figurare l’esistenza di una regolare posizione lavorativa e attenuare la misura di sicurezza. In carcere anche Salvatore Barone, ex presidente del consiglio di amministrazione ed ex direttore dell’azienda per i trasporti Atm di Trapani. Barone, accusato di associazione mafiosa, è anche presidente della cantina sociale Kaggera di Calatafimi e secondo gli inquirenti era al servizio del capo della famiglia mafiosa locale.