A 42 anni dall’omicidio di via Libertà, stamattina alle 9, è stato ricordato Piersanti Mattarella, il presidente della Regione ucciso nel giorno dell’Epifania mentre andava a Messa con la famiglia. Tra i presenti il prefetto Giuseppe Forlani, il sindaco Leoluca Orlando, il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè, il vicepresidente della Regione Gaetano Armao, magistrati, forze dell’ordine ed esponenti politici. “Ho combattuto(br)la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”, è impresso sul muro davanti al luogo del delitto. Breve cerimonia di commemorazione nel cimitero comunale di Castellammare del Golfo, dove Piersanti Mattarella.
Era il presidente delle “carte in regola” ma dal quel 6 gennaio del 1980 non tutto ancora è stato scritto su questo delitto. Il presidente era uscito dalla sua abitazione di via Libertà ed era salito a bordo della sua Fiat 132 per andare a Messa, insieme con la suocera, la moglie Irma Chiazzese e ai figli Maria e Bernardo. Niente scorta: voleva che anche gli agenti stessero con le loro famiglie.
Si era appena messo al volante, quando i killer entrarono in azione. Accanto a lui il fratello Sergio, oggi presidente della Repubblica, che lo sostenne tra le sue braccia. Il 24 maggio di quell’anno avrebbe compiuto 45 anni. Veniva abbattuta la speranza politica più autorevole dell’Isola, l’allievo di Aldo Moro, siciliano di tenaci concetto e capacità, ostinato propugnatore di una politica rigorosa e di rinnovamento. Il presidente che stava disegnando una Regione delle “carte in regola”.
Nella primavera del 1975, su suo impulso da assessore al Bilancio, venne approvato a larghissima maggioranza, anche con i voti del Pci, il Piano regionale di interventi per gli anni 1975-1980, primo tentativo di programmazione a lungo termine delle risorse regionali. Un passaggio che diede sostanza al dialogo a sinistra. Una “solidarietà autonomistica”, che anticipava la solidarietà nazionale di Moro e di Enrico Berlinguer del 1976.
Il 9 febbraio 1978 Piersanti Mattarella fu eletto dall’Assemblea presidente della Regione siciliana, alla guida di una coalizione di centrosinistra con l’appoggio esterno del Partito comunista italiano. Le riforme sul fronte degli appalti e dell’urbanistica compresse gli spazi della speculazione edilizia e degli interessi di mafiosi e palazzinari. Una visione complessiva, un’operazione di pulizia della Dc e un progetto di buon governo che minacciavano gli interessi della mafia e di consolidati centri di potere politico ed economico.
Con quel delitto l’Isola piombò nuovamente nel suo inferno di piombo e ineluttabilità. La vicenda giudiziaria è stata complessa e non definitiva. Come mandanti sono stati condannati all’ergastolo i boss della commissione di Cosa nostra (Totò Riina e Michele Greco su tutti, con gli altri esponenti della cupola: Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Francesco Madonia e Antonino Geraci). L’inchiesta, però, non è riuscita a identificare né i sicari né i presunti mandanti esterni.
Nel 2018 la procura di Palermo ha riaperto l’inchiesta sull’omicidio: nuovi accertamenti considerati doverosi, anche attraverso complesse comparazioni fra reperti balistici, per quanto siano resi complicati dal lungo tempo trascorso e dalle sentenze passate in giudicato. Nel mirino ancora una volta i Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, il cui capo, il terrorista nero Giusva Fioravanti, riconosciuto dalla vedova di Piersanti Mattarella, Irma Chiazzese, fu processato e definitivamente assolto dall’accusa di essere stato il killer. Uno dei reperti del processo celebrato a Palermo, la targa di un’auto del commando, sarebbe stata divisa in due dagli autori del furto e una parte fu poi ritrovata in un covo dell’organizzazione terroristica neofascista.
Dal punto di vista processuale, peraltro, la collaborazione tra “neri” e mafiosi, in vari fatti e azioni criminali, basata su un presunto scambio di favori tra mafia e terrorismo di estrema destra, era già stata più volte sostenuta, ad esempio per la strage del dicembre 1984 del Rapido 904. C’è poi il capitolo sulle armi che uccisero Piersanti Mattarella e il giudice antiterrorismo Mario Amato; sono dello stesso tipo, una Colt Cobra calibro 38 Special, ma non c’è alcuna certezza sulla loro identità: non si può dire cioè che il presidente della Regione Siciliana e il giudice, assassinati rispettivamente a Palermo e a Roma, nell’arco di poco meno di sei mesi, nel 1980, siano stati uccisi con la stessa pistola. Una un’ipotesi ritenuta “suggestiva”, ma sulla quale non ci sarebbero ancora i necessari riscontri tecnici. Giovanni Falcone il 3 novembre 1988 in una audizione in Antimafia definì l’indagine “estremamente complessa”, dal momento che “si tratta di capire se e in quale misura la pista nera sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa, nell’ambito di un presunto scambio di favori tra mafia e terrorismo di estrema destra.
Nel più recente atto d’accusa della procura generale di Palermo sui presunti assassini dell’agente Nino Agostino sono finite anche le indagini condotte dalla Dda da cui sono emersi rapporti di Agostino, cacciatore di latitanti, con il magistrato ucciso nella strage di Capaci nella fase in cui questi stava conducendo investigazioni delicatissime sulla cosiddetta “pista nera”. Nino Madonia, killer di Nino Agostino e di sua moglie, “è stato il vero ministro della guerra e ministro di polizia di Cosa nostra – ha detto l’avvocato Fabio Repici, legale di parte civile nel processo Agostino – ed è anche il killer di Piersanti Mattarella. Un delitto per il quale non è mai stato processato, ma su cui vi sono i passaggi di una sentenza”, quella sui ‘delitti politici’, “che, a questo proposito, sono fin troppo espliciti”.