Vigilia di nozze tra Sammartino e la Lega, è proprio vero che la frutta non ha più il sapore di una volta e che non ci sono più le mezze stagioni. Nemmeno i leghisti sono quelli di qualche tempo fa. E’ finita l’epoca in cui la coerenza era un dogma e il rigore morale virava verso il giustizialismo. Oggi persino Luca Sammartino e Valeria Sudano possono tranquillamente entrare a far parte del movimento di Matteo Salvini.
Il cappio orgogliosamente mostrato nell’Aula di Montecitorio dal deputato Luca Leoni Orsenigo nel marzo del 1993, le manette fatte tintinnare undici anni dopo dal sanguigno collega Gianluca Buonanno, prematuramente scomparso nel 2016, ricordano un’epoca nella quale la Lega non ha mai mancato di rimarcare, anche sguaiatamente, una certa diversità in tema di giustizia e legalità senza il timore di apparire un movimento forcaiolo.
La notizia delle annunciate nozze tra il recordman di preferenze catanese e il leader leghista è di quelle che ha dell’incredibile. Non per Sammartino e i suoi elettori, in fondo abituati ai cambi di fronte, dal Pd ad Italia Viva è stato un attimo e persino il nome di battesimo del nuovo capo di partito aiuta, Matteo, Renzi o Salvini e uguale. Sorprende, piuttosto, il convinto via libera dato dal vertice nazionale del Carroccio all’operazione, un disco verde in barba ad ogni precedente principio di rigore sbandierato ed esibito come marchio di fabbrica.
Luca Rosario Luigi Sammartino, giovane rampante odontoiatra con solidi interessi nella sanità, prestato alla politica e approdato all’Ars con la maglietta del Partito democratico nello schieramento che sosteneva Fabrizio Micari alla presidenza della Regione, porta in dote 32mila preferenze, due rinvii a giudizio per corruzione elettorale e un’inchiesta per lo stesso reato “mascariata” dall’ipotesi di presunti rapporti con personaggi poco commendevoli del sottobosco malavitoso etneo. Per carità, siamo garantisti, ma il profilo non sembra esattamente quello che titillava fino a qualche tempo fa l’immaginazione del popolo leghista.
Ricordiamo, a noi stessi per primi, che l’approdo in Sicilia del Carroccio è stato improntato alla massima attenzione. Lo sa bene l’ex coordinatore regionale della Lega Alessandro Pagano che, ritenuto da Salvini responsabile di aver arruolato e candidato prima Salvino Caputo e poi Toni Rizzotto, entrambi inciampati in antipatiche vicende giudiziarie, fu giubilato seduta stante. “Basta ingressi incontrollati, d’ora in poi passeremo al setaccio tutte le richieste di adesione” aveva assicurato il leader padano inviando nell’Isola direttamente da Busto Arsizio il suo proconsole più severo, Stefano Candiani, senatore e già inflessibile sottosegretario all’Interno. Candiani prese forse troppo sul serio l’input del vertice e così il movimento fu affidato alla new entry Nino Minardo, già forzista della prima ora, folgorato dal verbo salviniano e molto più malleabile del predecessore. Oggi, però, persino il “golden boy” ex berlusconiano appare sconcertato dalla mossa di Salvini. Non soltanto per i motivi fin qui ricordati, ma anche perché la coppia Sammartino-Sudano non nasconde una storica e radicale ostilità nei confronti dell’attuale presidente della Regione Nello Musumeci, sostenuto dalla Lega rappresentata in giunta da un assessore, non fa mistero di puntare alla conquista di Palazzo degli Elefanti, attualmente occupata dal meloniano Salvo Pogliese e lascia trapelare la volontà di lanciare un’Opa ostile su quanto finora costruito da Nino Minardo in Sicilia.
Non è un caso che la notizia del salto della quaglia dei due esponenti della sinistra con il Carroccio stia agitando in queste ore le acque leghiste. Domani dovrebbe essere lo stesso leader padano Matteo Salvini a “benedire” in Sicilia l’ingresso di Sammartino e Sudano. I due dal canto loro sono sereni, se son rose fioriranno, ma se in extremis dovesse fallire l’approdo nel Carroccio ci sarebbe sempre comunque Gianfranco Miccichè, lui è di bocca buona e da tempo corteggia Sammartino per il quale ha pubblicamente dichiarato di avere “una grande stima”.