Trattativa Stato-mafia, la difesa di Nicola Mancino: “Ha sempre agito contro la mafia”

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“Nicola Mancino in questo dibattimento è imputato di falsa testimonianza ma sotto il profilo mediatico è diventato l’emblema della trattativa. Per lui tutto questo ha comportato un danno enorme, perché e sempre stato impegnato nella vita politica del Paese, ha avuto un lungo arco di tempo di permanenza in Senato, è stato ministro dell’Interno e Presidente del Senato”.

Con queste parole ha aperto la sua arringa difensiva l’avvocato Nicoletta Piergentili, uno dei legali dell’ex Presidente del Senato Nicola Mancino, imputato nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia per falsa testimonianza. In aula c’è anche lo stesso Mancino, che non si presentava al processo da più di un anno, oltre all’altro legale, l’avvocato Massimo Krogh.

“Sentire accostare il suo nome, in ogni singola udienza, a quello di mafiosi eccellenti presenti nell’elenco degli imputati – ha detto ancora l’avvocato Piergentili – è stato già per lui una enorme sofferenza, che gli ha procurato danni gravissimi. Un addebito – ha proseguito l’avvocato – che ha consentito al pubblico ministero, nella sua requisitoria, di rivolgere parole pesantissime nei confronti del Presidente Mancino, come “reticenza” o “omertà istituzionale” e “menzogna”.

“Nicola Mancino ha sempre agito contro la mafia e tutte le criminalità organizzate, con onestà e non con le bugie. Ed è sempre stato contro l’attenuazione del 41 bis”. Lo ha detto l’avvocato Nicoletta Piergentili proseguendo la sua arringa difensiva per l’eex Presidente del Senato Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, per il quale alla fine della requisitoria l’accusa ha chiesto la pena di sei anni di carcere.

“Che attendibilità ha Massimo Ciancimino? Pure l’ex Procuratore capo di Palermo Messineo, sentito dalla Commissione antimafia, aveva detto che l’attendibilità di Ciancimino viene ritenuto di “livello basso”, per Messineo “non è persona credibile”, ha sottolineato l’avvocato Nicoletta Piergentili. E ha aggiunto: “Vorrei fare notare alla Corte che Ciancimino è stato condannato di recente a sei anni per calunnia, è la stessa pena chiesta alla fine della requisitoria dall’accusa nei confronti del Presidente Mancino…”.

“Per molti mesi Nicola Mancino è stato intercettato senza neppure essere iscritto nel registro degli indagati. Le sue parole intercettate – ha affermato l’avvocato Piergentili – provano in ogni caso una linearità di comportamenti e dichiarazioni che si pretende costituiscano prove di accuse contro la falsa testimonianza, mentre non c’è nessuna traccia di quello che sarà la sua tesi. Quello che traspare sono disorientamento, non solo di Nicola Mancino ma anche, e soprattutto, del suo interlocutore, Loris D’Ambrosio, poi scomparso prematuramente”.

D’Ambrosio era il consigliere giuridico dell’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano, morto per un infarto nel luglio del 2012. Secondo la Procura di Palermo, dietro quelle conversazioni si celava il tentativo dell’ex ministro di condizionare le indagini. “In modo suggestivo l’accusa ha fatto notare che il cittadino Mancino si rivolgeva a persone di alto rango, persino al Presidente della Repubblica – ha detto l’avvocato Piergentili, che difende Mancino con il collega Massimo Krogh – ma costoro erano i rappresentanti delle istituzioni a lui più vicine per la carica e il ruolo ricoperto, sono persone che hanno fatto parte del suo mondo, un mondo dal quale è stato spazzato via”.

E ha citato alcune intercettazioni: “Colpisce – ha detto Piergentili – lo stupore del consigliere D’Ambrosio, nella telefonate del 25 novembre 2011, quando Mancino lo chiama alle nove di sera per comunicargli che è stato di nuovo convocato per il successivo 6 dalla Procura come persona informata dei fatti. E questo è il motivo per il quale sono state disposte le telefonate. Nessun dialogo – ha spiegato l’avvocato – tra Mancino ed esponenti delle istituzioni, nessuna telefonata parla di quello che si andrà a dire”.

“Nicola Mancino ha affermato in più occasioni che poteva avere incontrato il primo luglio del 1992 Paolo Borsellino, ma non vi era stato alcun colloquio che avesse per oggetto la trattativa”, ha detto l’avvocato Nicoletta Piergentili. “Le sue dichiarazioni vengono confermate anche dall’ex Procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Aliquò che riferì come andarono i fatti, in linea con le dichiarazioni di Mancino”, ha detto Piergentili.

Nel luglio del 2014, il pentito di mafia Gaspare Mutolo, interrogato proprio al processo trattativa, a proposito dell’incontro tra Mancino e Borsellino, avvenuto 18 giorni prima della strage di via D’Amelio, aveva detto: “Il primo luglio del 1992, in un posto vicino alla prefettura di Roma, incontrai Borsellino perché stavo collaborando con la giustizia – raccontava Mutolo -. Durante l’interrogatorio lui ricevette una telefonata dal ministero e mi disse che si doveva allontanare per incontrare il ministro”.

Il ministro al quale si riferiva il magistrato era proprio Nicola Mancino, all’epoca alla guida del Viminale, oggi indagato per falsa testimonianza al processo. Poco prima di avere ricevuto la telefonata dal ministero, Borsellino aveva appreso dal collaboratore la sua intenzione di parlare di uomini dello Stato in contatto con la mafia come il funzionario di polizia Bruno Contrada, il giudice Domenico Signorino e il magistrato di Cassazione Corrado Carnevale.

“Borsellino – aveva aggiunto Mutolo – ritornò dopo due ore. Era arrabbiatissimo, fumava due sigarette insieme e io capii dopo perché. Mi disse di avere incontrato, fuori dalla stanza del ministro, Contrada e l’ex capo della polizia Vincenzo Parisi. Contrada mostrò di sapere dell’interrogatorio in corso con me, nonostante l’obbligo di segretezza. Anzi gli disse: “So che è con Mutolo, me lo saluti”. Io intuii – aveva proseguito il pentito – che Borsellino era arrabbiato perché del nostro colloquio riservatissimo erano venuti a conoscenza personaggi discutibili”. Mentre Mancino ha sempre detto di non ricordare con certezza l’incontro, pur non escludendolo.

La difesa dell’ex presidente del Senato, Nicola Mancino, alla fine della prima parte dell’arringa difensiva, ha chiesto l’assoluzione dall’accusa di falsa testimonianza nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia “perché il fatto non sussiste”. A chiedere l’assoluzione è stata l’avvocato Nicoletta Piergentili, che poi ha lasciato la parola all’altro legale di Mancino, l’avvocato Massimo Krogh.

“Nicola Mancino è un personaggio secondario di questo processo, mentre l’accusa lo ha trasformato in un protagonista, mentre noi non vogliamo contribuire a questa strategia”. Con queste parole l’avvocato Massimo Krogh, uno dei legali dell’ex presidente del Senato Nicola Mancino, ha iniziato la sua arringa difensiva. “Per cercare di sostenere l’accusa nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia i pm ha creato qualcosa che non esiste, solo grande rumore mediatico, che ha creato un grande interesse, ma sul piano del diritto è un processo che non doveva occupare una Corte d’assise per tanto tempo”. E’ quanto ha ribadito l’avvocato Massimo Krogh.

L’ex Presidente del Senato, Nicola Mancino “non dorme la notte per le sofferenze che questo processo gli provoca e gli ha provocato”, ha detto l’avvocato Massimo Krogh. Per Mancino l’accusa ha chiesto la pena a sei anni di carcere. La difesa di Nicola Mancino ha annunciato per una delle prossime udienze del processo sulla trattativa tra Stato e mafia dichiarazioni spontanee dell’ex Presidente del Senato, accusato di falsa testimonianza. (AdnKronos)