Riparte dal movimento indipendentista Sicilia Libera, tentativo politico ideato dal boss Leoluca Bagarella negli anni delle stragi mafiose, la requisitoria del processo sulla trattativa Stato-mafia. Nel giorno della 209esima udienza dall’inizio del dibattimento in corso davanti alla corte d’assise di Palermo, prende la parola il pm Francesco Del Bene.
“Il movimento Sicilia Libera ha in sé tutti i protagonisti del reato di attentato a corpo politico dello Stato che contestiamo agli imputati di questo processo”, ha detto parlando del movimento politico Sicilia Libera e dei contatti tra esponenti di Cosa nostra e Marcello Dell’Utri, fin dagli anni Settanta.
“Cosa nostra ha l’esigenza di interloquire direttamente con le istituzioni e Bagarella – ha spiegato Del Bene – tenta di farlo con questo movimento politico nel cui statuto vengono inseriti i punti che tanto stanno a cuore alla mafia, tra cui la giustizia e provvedimenti sul mondo carcerario”. Per venerdì sono previste le richieste di pene per gli imputati: boss come Leoluca Bagarella e Nino Cinà, ex vertici del Ros, Dell’Utri e Massimo Ciancimino.
Secondo l’accusa, grazie ai contatti tra i boss di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano e Marcello Dell’Utri, “Bagarella sa, fin dal 1993 della imminente discesa in campo di Silvio Berlusconi”.
“I Graviano – spiega – mantenevano i rapporti con la politica e con Dell’Utri per cui il boss corleonese, alla fine, fornisce sostegno al nascente movimento politico di Forza Italia in cui, di fatto, confluisce il movimento politico Sicilia Libera”.
Del Bene ha ricordato la sentenza definitiva che ha condannato Dell’Utri a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. “I giudici hanno scritto – dice citando le motivazioni del verdetto – che fin dagli anni Settanta Marcello Dell’Utri intratteneva un rapporto paritario con esponenti di Cosa nostra”. Contatti che – per il pm, che ha anche ricordato la figura di Vittorio Mangano, lo “stalliere” di Arcore tramite tra Berlusconi e la mafia – sono proseguiti anche dopo la scomparsa dei boss Mimmo Teresi e Stefano Bontate, suoi iniziali interlocutori, uccisi dai corleonesi di Totò Riina”.
“Riina considera Marcello Dell’Utri una persona seria che ha mantenuto la parola data. Mentre non ha una buona considerazione di Silvio Berlusconi, che reputa non affidabile”, ha anche detto in aula il sostituto della procura nazionale antimafia Francesco Del Bene, proseguendo la requisitoria nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. L’accusa – in aula anche i pm Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia e il sostituto della Procura nazionale antimafia, Nino Di Matteo – ha “fatto sue” le dichiarazioni del boss dei boss, Salvatore Riina, intercettato in carcere nel 2013 mentre conversa con Alberto Lorusso.
Il pm chiosa: “Oppure Totò Riina è il capo di Cosa nostra per tenerlo ai 41 bis e poi è rincoglionito quando parla di tutto il resto?”. L’accusa ribadisce il concetto: “A fine 1993 Marcello Dell’Utri si è reso disponibile a veicolare il messaggio intimidatorio per conto di Cosa nostra, ovvero stop alle bombe in cambio di norme per l’attenuazione del regime carcerario. Ciò è avvenuto – ha detto Del Bene – quando un nuovo governo si era appena formato, nel marzo del 1994, con la nomina di Silvio Berlusconi alla carica di presidente del Consiglio”. Il magistrato ha parlato di “potere ricattatorio di Dell’Utri su Berlusconi, per effetto dei rapporti pregressi”. Provati sarebbero peraltro i contatti – ha affermato Del Bene – e gli incontri, a fine ’93, tra Marcello Dell’Utri, oramai non più solo un manager ma un uomo pubblico e organizzatore del partito che vincerà le elezioni nel marzo 1994, e Vittorio Mangano che ha appena finito di scontare una condanna definitiva per mafia ed è ritenuto il capo della famiglia mafiosa di Porta nuova. (ANSA/AGI)