Vino: i dazi cinesi sulle bottiglie australiane opportunità per l’Italia di Michele Geraci*

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La Cina ha appena annunciato la volontà di imporre dazi sul vino importato dall’Australia, fatto che potrebbe raddoppiare o addirittura triplicare il costo di una bottiglia di vino per gli importatori e di conseguenza sugli scaffali dei consumatori cinesi.

La notizia rappresenta una grande opportunità forse unica, forse l’ultima, per il vino italiano di penetrare il difficilissimo mercato cinese, bisogna quindi sfruttarla immediatamente e con la massima efficacia, altrimenti anche questo treno partirà senza di noi ed i nostri amici francesi saranno, anzi sono, già pronti a sostituirsi all’Australia ed impadronirsi delle loro quote di mercato. Ma il Covid gioca a nostro favore.

Ad oggi le importazioni di vino verso la Cina sono dominati Australia, che ne esporta 866 milioni di dollari e dalla Francia con 703 milioni. Seguono Cile con 346 e poi, distante, l’Italia 156 milioni, con la Spagna di poco dietro con 145milioni di Euro. Insieme, Australia e Francia rappresentato il 64% del totale delle importazioni di vino da parte della Cina, mentre il nostro Paese rappresenta soltanto il 6,4%.

Un abisso causato dal ritardo del nostro paese a fare sistema, dalla enorme frammentazione della nostra produzione vinicola che, come due facce di una medaglia, da un lato è il nostro grande fiore all’occhiello quando tratta verso i mercati maturi e connoisseur come Europa e Stati Uniti che comprendono e apprezzano la diversità, ma che, paradossalmente, dall’altro lato, diventa una liability quando si cerca di penetrare i mercati asiatici, dove, la comprensione delle varietà di vino sfugge ai consumatori non ancora esperti. Si pensi a come reagirebbero gli italiani se fossero inondati da 5mila varietà di te.

I mercati asiatici sono particolarmente difficili da penetrare per tutte le Pmi, di qualsiasi settore, motivi per cui l’export italiano va male, ed il settore del vino, non fa purtroppo eccezione e dove, mancando il traino delle grandi imprese, il sostegno a livello governativo è essenziale.

La Francia invece offre sia il sostegno del sistema Paese mentre il presidente Emmanuel Macron si guarda bene dal criticare eccessivamente l’operato della Cina, anzi tempo fa regalò a Xi Jinping un cavallo della Gendarmerie bardato a festa dopo aver fatto, anche il cavallo, la sua quarantena. E, furbamente, come la cancelliera tedesca Angela Merkel, il lavoro di critica lo fa fare alle ThinkTank, agli “esperti”, non ai suoi ministri del commercio che si limitano a delle, giuste, critiche di circostanza, senza affondare troppo.

In aggiunta il sistema AirFrance-Sofitel-Carrefour fa sì che il vino francese si trovi sul tavolo dei consumatori cinesi dovunque essi si trovino, in Cina, come in volo verso l’Europa. Oggi, con il blocco dei voli e del turismo, questo vantaggio sistemico che la Francia ha nei nostri confronti è leggermente spuntato e possiamo, per una volta, giocarcela quasi alla pari.

Il vino francese e quello italiano hanno prezzi medi, intorno a 4.5 euro, mentre quello australiano si importa a 6 euro, che diventeranno 18 con i nuovi dazi. Lo spazio di crescita c’è, forse (e costituirebbe un inedito) sarebbe anche opportuno andare in Joint- Venture con i cugini francesi e dividerci la torta.

* Prof of Practice in Economic Policy, University of
Nottingham Ningbo China
Adjunct Prof of Finance, New York University Shanghai
Former Under-Secretary of State for International Trade,
Ministry of Economic Development Italian Government