Vino: nasce a Licata “Marabecca” il primo spumante dell’azienda Quignones

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La riflessione è stata abbastanza lunga, anche perché il mercato è già abbastanza ricco di spumanti, prosecchi e variabili sul tema. Ora è arrivato “Marabecca”, il primo spumante firmato dalla cantina vitivinicola “Quignones” di Licata (Agrigento), guidata dall’ingegnere Alfredo Quignones, 52 anni, imprenditore agricolo che ormai da anni gestisce la Tenuta d’Apaforte, 100 ettari di terreno coltivati a viti, ulivi e mandorle che si trova sulla collina Sant’Oliva, una grande terrazza sulla piana di Licata.

La presentazione ufficiale dello spumante “Marabecca”, che prende il nome da una strega dei pozzi protagonisti di una leggenda popolare, venerdì sera a Licata, nel ristorante Luna, all’interno del porto turistico Marina di Cala del Sole, gestito dal giovane chef Calogero Tarlato Cipolla.

“E’ uno spumante che nasce dalla collaborazione con un’altra azienda siciliana, particolarmente specializzata in questo tipo di produzioni – spiega Alfredo Quignones – Ne è scaturito uno spumante extra-dry al contempo di ottimo spessore e grande bevibilità. Si tratta di un metodo charmat, ottenuto da una base di grillo e catarratto, quindi una fascia diversa dai metodi classici, ma ugualmente di alta qualità, che sarà utile per sondare la risposta di questo specifico mercato alla nostra idea. Se il riscontro sarà positivo, per come merita “Marabecca”, il prossimo passo sarà senz’altro la creazione di un metodo classico”.

Alfredo Quignones ha ereditato dal suo trisavolo, vissuto nel lontano ‘800, l’amore per una terra ricca di materie prime dalle caratteristiche speciali, che danno vita a vini dal gusto particolare proprio per il luogo in cui sorgono e a un olio extravergine di oliva dalle proprietà uniche. “È proprio a partire dalle antiche pratiche tramandate di generazione in generazione, come la raccolta a mano dell’uva e delle olive – spiega Quignones – che realizziamo i nostri prodotti, servendoci di vitigni rari e particolari metodi di vinificazione e affinamento”.

Tra i vini in produzione, il “Castel San Giacomo” (bianco e rosso), la linea “Largasia”, Insolia-Chardonnay, Nero d’Avola, Petit Verdot e Nero d’Avola vinificato in rosato e il Nero d’Avola della Tenuta d’Apaforte.

Ingegnere, come nasce la passione per vino e olio e quanta passione e sacrificio ci vogliono per fare impresa in Sicilia con vino e olio di un certo livello, per differenziarsi dagli altri competitor?

“E’ una passione che non nasce da una scoperta improvvisa, ma da un vissuto familiare di proprietari terrieri da generazioni che hanno sempre prodotto il proprio vino ed il proprio olio, pur non essendo nei tempi andati la principale attività economica. E’ quindi una tradizione che si perpetua, ma che si rinnova sempre seguendo i tempi e le nuove esigenze. La differenziazione è poi quella che nasce dal territorio, dall’areale in cui si opera e che conferisce ai prodotti qui realizzati delle peculiarità e una riconoscibilità che consentono la presenza sul mercato”.

Cosa l’ha spinta a rilanciare l’attività agricola di famiglia?

“La consapevolezza che oggi, per creare un minimo di reddito, bisogna dare valore aggiunto ai prodotti della terra e quindi trasformare l’uva in vino e le olive in olio ritagliando il proprio spazio nel mercato internazionale, ossia quello che maggiormente premia la qualità”.

Lei si dedica a vini naturali e vitigni rari con particolari metodi di vinificazione ed affinamento.

“Quella dei vini naturali è una definizione ancora piuttosto vaga e senza codici precisi. Di certo, per quanto convenzionale, la nostra è una coltivazione rispettosa dei ritmi della natura, con l’uso preferito di prodotti naturali a quelli di sintesi e l’abolizione della pratica del diserbo chimico. La vinificazione è quella che più si adatta ad uve di particolare concentrazione come quelle qui prodotte, in un ambiente decisamente asciutto e spesso siccitoso, con conseguenti rese estremamente basse”.

Lei produce diversi vini, qual è quello a cui è più legato, quello che le piace di più e quello che le ha dato maggiori soddisfazioni.

“Certamente il mio preferito e che mi dà maggiori soddisfazioni è il Petit Verdot vinificato in purezza. Ma, per quanto ugualmente apprezzato, devo dire che ascoltare il giudizio sul mio Nero d’Avola, il vino siciliano per eccellenza ormai diffuso in tutta l’Isola, considerato tra i migliori nella sua categoria mi inorgoglisce particolarmente”.

E’ di questi giorni la notizia che dal primo gennaio 2022 i vini Doc Sicilia, per essere immessi in commercio, dovranno avere i contrassegni di Stato. Che ne pensa di questa ulteriore tracciabilità della bottiglia? 

“Sono particolarmente critico a tal proposito. La qualità del prodotto non nasce da una ‘fascetta’ – utile solo ad una più immediata riconoscibilità della categoria Doc, per quanto tutti noi produttori siamo già ben attenti ad evidenziare Doc in etichetta – quanto dai metodi di produzione delle uve e dei vini. In tal senso, il dato, a mio parere, essenziale è la resa delle uve in vigna che il protocollo per la vinificazione del Nero d’Avola Doc Sicilia porta ad un massimo di 140 quintali ad ettaro, mentre il conseguente vino, anche rosato e – soprattutto – riserva, deve avere un titolo alcolometrico minimo di 12 gradi. Ecco: io sono assolutamente certo che un Nero d’Avola di grado poco superiore a 12, prodotto da vigneti con rese vicine ai 140 quintali ad ettaro è decisamente inferiore ad un Nero d’Avola di più di 13 gradi con le concentrazioni che nascono da vigneti a rese ben più limitate, diciamo di 80-100 quintali ad ettaro. Eppure entrambi potranno, anzi dovranno, apporre la famosa fascetta. E’ quindi la fascetta che garantirà la maggiore qualità del vino? O sarà solo un fatto di immagine, comunque positivo, che però nell’immediato si manifesta come un onere ed un balzello in più su noi produttori?”.