Renato Schifani si dimette da capogruppo al Senato di Ap-Ncd

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renato schifani
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Renato Schifani si dimette da capogruppo al Senato di Ap-Ncd. Lo ha comunicato la sua decisione con una lettera inviata a tutti i colleghi senatori e poi lo ha annunciato nel corso di conferenza stampa a Palazzo Madama. I “rumors” dicono che voglia candidarsi alla presidenza della Regione Siciliana e che ne abbia già parlato con Silvio Berlusconi e Gianfranco Miccichè.

“L’oggetto sociale del Nuovo Centro Destra è stato via via nel tempo disatteso”, soprattutto “quando abbiamo deciso di sostenere il governo Renzi, senza però un minimo accordo preventivo di programma, che contenesse i punti e gli obiettivi figli della nostra identità”.

“Non mi reputo infallibile e posso aver commesso i miei errori di valutazione su persone e percorsi, ma su un principio non transigo: mai considerare la politica come un qualcosa per la quale non si debbano fare i conti con la propria coscienza. Oggi è giunto il giorno per cui io li faccia con la mia: il mio maturato dissenso mi porta alle consequenziali dimissioni da capogruppo, per il resto, poi valuterò. Fin quando resterò in Ncd voterò in conformità con il gruppo”. Con queste parole Renato Schifani ha rassegnato le dimissioni da capogruppo al Senato di Area Popolare, in una lettera al ministro dell’Interno Angelino Alfano.

“Potevamo fare di più. Nell’ultima riunione si Area popolare il ministro Angelino Alfano ha mostrato la volontà di creare un nuovo soggetto politico. Mi sembra più un’operazione più da palazzo che da territorio”, ha detto Schifani, “In Area popolare “vi è assenza di identità. Una decisione ponderata, sofferta e convinta perché non mi sento di guidare il gruppo in una prospettiva che non faccio mia – ha spiegato l’ex presidente del Senato -. Le mie dimissioni obbediscono a una non condivisione del percorso di Ncd. Per me le dimissioni non sono un tabù”.

“Le mie dimissioni non saranno traumatiche per l’iter dei lavori parlamentari. Sono consapevole che il Parlamento è la casa degli italiani e che deve essere rispettata la serenità dei lavori parlamentari”, ha affermato Renato Schifani.

Per Sschifani “l’idea di Alfano di creare, ad un anno e mezzo dalle elezioni, se non ancor prima, una nuova forza politica che rappresenti un quarto polo politico nel Paese non ha più spazio sia temporale sia politico. Anche la proposta progettuale non è chiara, come del resto non lo è la futura collocazione politica di riferimento, che sarebbe dovuta essere naturalmente di centrodestra nel rispetto della nostra matrice elettorale”.

Se, da una parte, nel 2013 “eravamo stati costretti con dolore a lasciare Silvio Berlusconi – scrive nella lettera di dimissioni da capogruppo ricostruendo la storia del partito -, in quanto vedevamo, in quel momento, attorno a lui il prevalere di posizioni ed atteggiamenti che tendevano ad un estremismo del tutto estraneo alla storia del nostro partito”, dall’altra l’obiettivo era “contribuire al rafforzamento del centro destra attraverso la nostra iniziativa”.

Obiettivo che non è stato raggiunto, tanto che, dopo l’ingresso del Ncd al governo “senza un elaborato ed articolato accordo di coalizione”, il senatore, come ricorda nella sua lettera di dimissioni, ha subito manifestato il proprio “dissenso, che poi si è rivelato fondato, perché l’assenza di un nostro programma concordato ha irreversibilmente indebolito, se non pregiudicato, la nostra forza di iniziativa nel governo”.

Schifani ricorda i pezzi di partito che si sono via via staccati, come Nunzia De Girolamo, tornata in Forza Italia, o Gaetano Quagliariello, che ha fondato il movimento Idea. Tutti segnali di un malessere che non è stato colto, e nel tempo “i fatti mi hanno dato ragione. La disarticolazione delle alleanze sul territorio, a volte palesemente contraddittorie come quelle di Napoli e di Milano (nel capoluogo campano con Pd e Ala, in quello lombardo con la Lega, pur se da separati in casa, ndr), ci ha impedito di presentarci con una univoca identità politica, sottoponendoci ad un risultato non certamente entusiasmante, fatta eccezione del discreto tre per cento di Milano dove correvamo all’interno della nostra naturale collocazione”.

La frattura nel partito, per Schifani, si è aggravata nella scelta degli alleati sul territorio: addirittura “scellerata” la decisione di “sostenere il fallimentare governo Crocetta, con ciò snaturando palesemente la nostra identità e cedendo a pressioni locali non certo ispirate a principi di sana politica”.

Schifani non nasconde neppure il proprio “disagio nell’assistere a dichiarazioni di nostri colleghi di partito, anche esponenti di governo, che nel lanciare offese a Silvio Berlusconi”, dimenticavano di “essere stati eletti sotto il simbolo di Berlusconi Presidente ed indicati da lui al governo”.

Tutto questo, nel tempo, ha fatto sì che nel Ncd si radicalizzasse “una divisione tra un’ala filogovernativa, costituita da quasi tutti i nostri esponenti di governo, ma anche da altri colleghi, ed un’altra più politico-parlamentare”, che si interrogava “sugli sviluppi del nostro progetto e sull’avvenuta distonia tra la nostra identità fondativa ed il presente. Con il risultato, alla fine “di aver abbandonato le nostre radici”.

Per questo, Schifani considerava chiuso “il percorso di sostegno del Ncd al governo con il voto parlamentare sulle riforme, da me votate per disciplina di partito. Al livello nazionale la nostra presenza al governo non è mai stata significativamente apprezzata dagli elettori”.

Schifani rivela di aver sempre cercato, “senza urla, ma con incontri riservati ed autorevoli”, di spingere perché i punti programmatici del centrodestra trovassero più ascolto all’interno della coalizione, ma alla fine “il patto politico del 7 dicembre 2013 non è stato onorato. La casa non esiste più perché è venuto meno il pilastro. Ecco perché oggi lascio qualcosa che non c’è più. Non mi reputo infallibile – conclude nella sua lettera – e posso aver commesso i miei errori di valutazione su persone e percorsi, ma su un principio non transigo: mai considerare la politica come un qualcosa per la quale non si debbano fare i conti con la propria coscienza. Oggi è giunto il giorno per cui io li faccia con la mia: il mio maturato dissenso mi porta alle consequenziali dimissioni da capogruppo”.