Trattativa Stato – mafia, a dibattimento ormai quasi chiuso, dopo anni di acquisizioni documentali e decine di testimoni escussi, irrompe nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia un nuovo capitolo: quello dei rapporti tra l’ex premier Silvio Berlusconi e Cosa nostra.
La Corte d’assise di Palermo, accogliendo le richieste della Procura, ha ammesso agli atti 21 delle 32 conversazioni registrate in carcere tra il boss Giuseppe Graviano e il camorrista Umberto Adinolfi. Saranno trascritte ed entreranno in un dibattimento che in tre anni ha visto ampliare il suo oggetto arrivando a lambire un tema più volte affrontato e archiviato da tre procure diverse, le relazioni pericolose del Cavaliere che dovrebbe, secondo quanto dicono alcuni pentiti, le sue fortune economiche ed elettorali al sostegno dei clan.
Graviano, ha disposto la corte, dovrà riferire in aula delle conversazioni fiume con Adinolfi, in particolare dei cenni che il boss fa, a più riprese, a una sorta di patto che la mafia avrebbe stretto con Berlusconi. Patto che poi l’imprenditore milanese avrebbe tradito. Il padrino di Brancaccio che volle la morte di padre Puglisi, interrogato dai pm che da mesi lo intercettavano nell’istituto di pena di Ascoli Piceno, ha sminuito tentando di sollecitare l’attenzione dei magistrati sulle sofferenze che il 41bis gli provoca e sulle conseguenze del carcere duro anche sulla sua tenuta mentale. E c’è da scommettere che, citato a deporre, si avvarrà della facoltà di non rispondere.
I dialoghi che i pm ritengono rilevanti, però, faranno parte dell’enorme mole di documenti che la Corte dovrà valutare. “Mi ha chiesto questa cortesia… per questo c’è stata l’urgenza. Lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa”, diceva Graviano ad Adinolfi con un linguaggio criptico, che per i pm è una chiara allusione alle stragi del ’92 che vedrebbero Berlusconi, confidenzialmente chiamato “Berlusca”, come ispiratore e la mafia come esecutrice.
L’allora imprenditore avrebbe usato i clan per dare la spallata finale a una vecchia classe politica già in bilico per Tangentopoli. Nei suoi dialoghi con Adinolfi, Berlusconi viene descritto da Graviano come un traditore. “Quando ha iniziato negli anni ’70 ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel ’94 si è ubriacato e ha detto “Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato”. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore”, racconta il boss ad Adinolfi.
Un Berlusconi ingrato, quello descritto da Graviano, che lascerebbe marcire al carcere duro persone innocenti che per lui si sono sacrificate, dunque, mentre sarebbe disposto a pagare il silenzio delle “buttane”, dice sferzante il capomafia. E nel processo entreranno anche le conversazioni relative al concepimento del figlio del padrino. Al camorrista, Graviano racconta di aver incontrato la moglie in carcere ed averla messa incinta.
Un capitolo, quello delle maglie lente del 41 bis, che molto interessa ai pm, visto che proprio il carcere duro sarebbe stato, per l’accusa, tra i punti oggetto della trattativa Stato-mafia. Oltre al capomafia è stata ammessa la testimonianza dell’ex capo del Sismi Nicolò Pollari, mentre, e c’era da immaginarlo, non verrà sentito Wladimir Putin, provocatoriamente citato dalla difesa del generale Mario Mori, tra gli imputati. “Se si allarga l’ambito del processo alle stragi del ’92 – sosteneva il legale- perché non parlare delle indagini di Falcone sui fondi neri che il Pcus avrebbe dato al Pds?”. La Corte, però, ha detto no, ritenendo la deposizione irrilevante. (ANSA)