Ventisette anni fa la battaglia di Mogadiscio, quel 2 luglio 1993 l’Esercito italiano si trovò, per la prima volta dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, a combattere in un vero e proprio scontro armato contro i miliziani somali nell’ormai tristemente famoso checkpoint Pasta. Ad essere coinvolti in quelle drammatiche ore furono i soldati della missione di pace voluta dalle Nazioni Unite in una Somalia dilaniata dalla guerra civile tra clan e affamata dopo decenni di conflitti e saccheggi.
Ora uno dei protagonisti di quell’evento, probabilmente il più autorevole, certamente il più “scomodo”, il generale Paolo Riccò, affida ad un libro dal titolo “I Diavoli Neri” (Edizioni Longanesi) la testimonianza del valore dei militari impegnati nello scontro, ma anche il ricordo di chi restò bloccato dalla paura, di chi preferì sottrarsi alle sue responsabilità e, soprattutto, il dolore per la perdita di un giovane paracadutista, il caporale Pasquale Baccaro.
I soldati italiani in Somalia erano inquadrati nell’Operazione Ibis. L’Italia aveva inviato il meglio di cui allora disponessero le nostre Forze Armate, i paracadutisti della Brigata Folgore, i marò del San Marco, i carristi della Brigata Ariete, i Lancieri di Montebello e ancora gli incursori del Col Moschin e del Comsubin insieme ai carabinieri paracadutisti del Tuscania. Un contingente nutrito, ma formato per lo più da militari di leva e quasi tutti con nessuna esperienza in teatri fuori area ad alto rischio. È giusto ricordare che prima di allora i militari italiani erano stati impiegati in Libano nei primi anni ’80 dove, a parte un paio di sporadici e brevi scontri, uno dei quali purtroppo costò la vita al marò Filippo Montesi del San Marco, non si erano verificati episodi che ne avessero testato le reali capacità operative. La Somalia fu quindi un banco di prova per i soldati, ma soprattutto per gli ufficiali, la maggior parte dei quali, a parte qualche esercitazione un po’ più “ardita”, non aveva mai sentito fischiare davvero le pallottole nemiche.
Quella mattina fu uno choc per tutti, il più brutto risveglio possibile da un sonno popolato da illusioni, la più grande di tutte quella che a noi Italiani, che eravamo lì per aiutare la popolazione civile, distribuire viveri e che non avevamo preso le parti di alcuna delle fazioni in campo, non poteva accadere nulla. La realtà piombò addosso ai nostri militari sotto forma di una imboscata nel centro di Mogadiscio, nei pressi del checkpoint denominato Pasta, dal nome di una vecchia fabbrica di pasta Barilla presente nelle vicinanze. Fu una battaglia vera, non una scaramuccia, uno scontro in cui persero la vita tre militari italiani, il sergente degli incursori del Col Moschin Stefano Paolicchi, il caporale dei parà Pasquale Baccaro e il sottotenente dei Lancieri Montebello Andrea Millevoi. Oltre una ventina furono i feriti, alcuni portano ancora oggi i segni di quella giornata, uno di questi è il sottotenente parà Gianfranco Paglia, medaglia d’Oro al Valor militare. I miliziani somali pagarono comunque a carissimo prezzo il loro attacco.
Tutto questo e molto altro è contenuto nel libro del generale Riccò curato dal giornalista Meo Ponte. Il titolo “I Diavoli Neri” prende il nome dal reparto allora comandato dall’autore con i gradi di capitano, la XV Compagnia “Diavoli Neri” del 186° Reggimento paracadutisti Folgore di Siena, erede del 5° Battaglione El Alamein. Oggi al comando della Brigata Aves dell’Aviazione dell’Esercito, il generale Paolo Riccò, che per il suo comportamento in battaglia si è meritato la medaglia di Bronzo al Valor militare, ha deciso di raccontare tutto per obbedire ad un obbligo morale dettato dalla sua coscienza. “Sono invecchiato lasciando che il silenzio della storia avvolgesse quei fatti ormai lontani – scrive nelle prime pagine -. Ora il segno che mi ha lasciato quel giorno sul collo una delle pallottole sparatemi a bruciapelo da un miliziano somalo pare prudere più del solito quando la sfioro. Come se volesse ricordarmi che ho ancora una missione da compiere: raccontare la vera storia della battaglia del checkpoint ‘Pasta’. Una missione – spiega Riccò – che mi diedi quando sotto il fuoco raccolsi l’ultimo respiro del paracadutista Pasquale Baccaro. Vedendolo morire senza poter far nulla per salvarlo, promisi a me stesso che non avrei lasciato che il valore dimostrato da lui e dai miei paracadutisti venisse dimenticato. Ora è venuto il momento di ricordare cosa avvenne davvero il 2 luglio del 1993 nelle strade di Mogadiscio”.
E il racconto, dettagliatissimo e crudo è la cronaca di incredibili atti di valore compiuti da soldati diventati improvvisamente e loro malgrado, guerrieri. Completamente circondati dai guerriglieri somali, i “Diavoli Neri” reagirono con coraggio ed efficacia grazie al duro addestramento imposto in Patria da Riccò. Ma la retorica da film americano è lontana dalla narrazione del libro. L’autore rivela tutto senza veli e omissioni. Gli atti di coraggio degli uomini sotto il fuoco nemico, ma anche gli errori di valutazione di celebrati comandanti e il panico di alcuni militari paralizzati dalla paura. La sintesi migliore per comprendere il messaggio che è contenuto nel volume-testimonianza è nel murale che Riccò fece realizzare nell’accampamento dei suoi “Diavoli” a Balad: “2 luglio 1993 – In questo maledetto giorno al Pastificio eravamo in tanti ma pochi spararono. La XV C. Diavoli Neri aprì il fuoco per prima, ripiegò per ultima lasciando sul campo numerosi morti e feriti nemici. Purtroppo, all’adunata del mattino successivo il par. Baccaro Pasquale non era presente”. Non occorre aggiungere altro.