“Per costringerlo a parlare e a mentire lo picchiavano, approfittavano della sua debolezza psicologica dicendogli che io lo tradivo, gli mettevano i vermi nella zuppa, minacciarono di inoculargli il virus dell’Aids. Ero certa che lo avrebbero ucciso”. E’ il drammatico racconto di Rosalia Basile, moglie del falso pentito Vincenzo Scarantino.
La teste depone al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Borsellino. Imputati di calunnia aggravata i tre funzionari di polizia che avrebbero creato a tavolino falsi pentiti, come Scarantino, costretti a raccontare una verità di comodo sull’attentato. La donna ha puntato il dito contro l’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera, nel frattempo morto, descrivendolo come la mente del piano ordito per depistare le indagini attraverso la creazione di collaboratori di giustizia fasulli, costretti a mentire con minacce fisiche e psicologiche.
“Dopo la detenzione a Pianosa – ha raccontato Rosalia Basile – improvvisamente ammise il furto della 126 usata come autobomba per la strage. Mi disse “devo farlo anche se sono innocente altrimenti mi ammazzano”.
Botte, minacce, aggressioni fisiche e psicologiche, verbali con accuse false fatte imparare a memoria: di questo parla Rosalia Basile, moglie del falso pentito Vincenzo Scarantino, al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. La teste ha raccontato che il marito venne imbeccato dai poliziotti guidati da Arnaldo La Barbera, perché mentisse sull’attentato e desse la versione di comodo che loro avevano imbastito.
“Cercai di contattare la signora Borsellino per dirle che mio marito veniva picchiato per farlo pentire e che era innocente. Mi rivolsi anche al Papa e al capo dello Stato”, ha raccontato Rosaria Basile, deponendo al processo ai tre poliziotti sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. “Citofonai a casa Borsellino – ha detto – scese un uomo che mi disse che la signora non se la sentiva di parlarmi visto il lutto sofferto”. La donna, citata a deporre al processo in corso a Caltanissetta a carico di tre funzionari di polizia Bo, Ribaudo e Mattei, accusati di aver creato a tavolino pentiti come Scarantino, costringendoli a mentire sulla ricostruzione dell’attentato, non ha mai rivelato prima dei rapporti telefonici tra il marito e i magistrati. A minacciare e fare pressioni su Scarantino, costretto a imparare a memoria il “copione” con le accuse da raccontare, sarebbe stato il pool investigativo che indagava sulle stragi guidato dall’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera, nel frattempo morto.
La donna ha indicato nei poliziotti Ribaudo e Mattei, imputati al dibattimento in corso, di aver preparato il marito perché rendesse la deposizione che a loro faceva comodo facendogli imparare a memoria una sorta di parte. E in Bo, l’altro funzionario sotto processo, l’autore di una aggressione subita dal marito dopo la sua prima ritrattazione. La teste ha anche sostenuto che su input dell’ex pm Anna Palma, il marito era stato convinto a rivolgersi al tribunale dei minori per farle togliere i bambini se avesse deciso di lasciarlo.
“Dovevo rimettere a posto i pezzi del puzzle, devo lavorare su me stessa anche per ridare giustizia a chi la merita”, ha detto Rosalia Basile, rispondendo alle domande dei legali che le chiedevano come mai non avesse rivelato prima che il marito aveva i numeri di telefono dei pm di Caltanissetta e che aveva con loro contatti telefonici. “Avevo rimosso tutto, ora sto ricordando”, ha aggiunto. La donna ha consegnato al tribunale pagine di una agendina tascabile su cui lei stessa aveva trascritto i numeri dei magistrati copiandoli da appunti del marito.
“Ho trovato a casa dei foglietti del mio ex marito con i numeri dei cellulari e dell’ufficio dei pm, all’epoca in servizio a Caltanissetta, Nino Di Matteo, Anna Palma, Carmelo Petralia e Gianni Tinebra. A volte si chiudeva in stanza per parlare con loro al telefono”, ha rivelato la moglie del falso pentito Vincenzo Scarantino, Rosalia Basile, che ha consegnato i biglietti.
“Spontaneamente, io per primo, all’udienza del processo Borsellino Quater, smentendo Scarantino, che aveva detto che non mi aveva mai telefonato, ho raccontato che qualcuno gli aveva dato a mia insaputa il mio numero di cellulare perché una volta mi aveva telefonato e un’altra mi aveva lasciato otto messaggi in segreteria telefonica”. Lo ha detto il pm Nino Di Matteo a proposito delle parole della moglie di Scarantino, Rosalia Basile, che sta deponendo al processo per il depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio. “Non c’è nessuna novità – ha aggiunto Di Matteo – come si evince rileggendo le pagine 39 e 40 della trascrizione della mia deposizione in udienza nel Borsellino quater”.