Clochard bruciato vivo, sotto choc la Missione di San Francesco chiusa per lutto

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Clochard bruciato vivo, lunedì prossimo, 13 marzo, si riaprirà il portone della Missione di San Francesco, teatro dell’orribile omicidio di Marcello Cimino, il senzatetto dato alle fiamme nella notte tra venerdì e sabato.  “La Missione riapre lunedì, chiusura per lutto”. Il foglio formato A4 è appeso a un colonnato ancora annerito dal fumo sotto i portici della Missione di San Francesco dei Cappuccini.

”Siamo esterrefatti – afferma padre Domenico Spatola, responsabile della Missione -. La nostra è una missione di frontiera dove arriva chiunque è nel bisogno, in difficoltà. Si tratta di un atto di violenza gratuita e selvaggia che non appartiene all’ uomo. Gente senza scrupoli che magari per una incomprensione, per una parola detta male, non è più in grado di distinguere il confine tra la vita e la morte, tra il bene ed il male”.

Tanta incredulità tra i senzatetto e gli indigenti che ogni giorni frequentano la missione dei padri Cappuccini. “Ma allora è vero?”, grida la signora Vincenza, che arriva con il suo borsone pieno di stracci. Preferisce non dire il suo cognome perché dice, abbassando la voce, “i miei figli non sanno che vengo qui a mangiare…”.

Arrivano due volontari che ogni giorno danno una mano ai frati cappuccini. Anche loro non riescono a crederci. “Marcello era una persona molto mite – dicono all’unisono – non avrebbe mai fatto male a una mosca”. Aveva deciso di vivere qui, sotto i portici, pur avendo una casa popolare al Villaggio santa Rosalia, in via Vincenzo Barone. “Veniva tutti i giorni qui – dice Romano, 79 anni, con il giornale sotto il braccio -. Anche io vengo ogni tanto per mangiare qui. E Marcello non era uno che cercava la lite, come fanno altri. Lui stava per i fatti suoi. Non amava le liti”.

Un altro signore anziano, arrabbiato perché non sa dove andare a mangiare, vista la chiusura della missione dei Cappuccini, inizia a gridare: “E’ una bestemmia contro San Francesco – dice arrabbiato – si vuole colpire la povertà. La verità è questa”.

Nel frattempo, arrivano due ragazzine, una indossa grossi occhialoni da sole. Si tengono strette, l’una all’altra e piangono. Sono le figlie, entrambe minorenni, di Marcello Cimino. Con loro c’è la mamma, Iolanda, si siedono a terra e piangono in silenzio. Con loro c’è anche il fidanzato della più grande. Che ha un alterco con un fotografo che vuole scattare delle fotografie. “Lasciateci con il nostro dolore – grida il giovane – Questo animale deve pagare per quello che ha fatto, andrebbe ammazzato…”.

Una volontaria porta da mangiare al gatto che vive lì. Anche lei è scossa per la morte del clochard Marcello Cimino. “Vedevo spesso Marcello – dice Lina – ogni tanto scambiavamo qualche parola, mi diceva che lui cercava di racimolare qualche soldo con il ferro. E poi mi parlava delle sue figlie, che adorava”. Altri indigenti si avvicinano ai portici dove è stato ucciso Marcello Cimino. Qualcuno porta dei fiori, altri si fermano per una preghiera. La missione dei Cappuccini da oggi è meta di pellegrinaggio.

La vicenda di Marcello Cimino, dato alle fiamme, ha un precedente che risale a circa due anni fa. Il 12 aprile 2015, in via Trieste, non distante dalla stazione centrale, alcuni balordi appiccarono il fuoco ad un cumulo di rifiuti. Nei pressi della spazzatura dormiva sotto una coperta un senzatetto, Andrea Cangemi, di 62 anni. Le fiamme lo avvolsero ma alcuni passanti chiamarono tempestivamente i vigili del fuoco e i sanitari del 118 che lo trasportarono nel reparto grandi ustioni dell’ospedale Civico dove fu salvato dai medici. Le indagini condotte dai carabinieri non riuscirono né ad identificare gli autori del gesto né ad accertare il reale obiettivo del raid, se cioè i responsabili fossero intenzionati solo a dare fuoco alla spazzatura o anche al clochard. (ANSA/AdnKronos).