La Dia di Trapani ha sequestrato beni e conti correnti riconducibili ad alcuni imprenditori di San Giuseppe Jato, il 67enne Ciro Gino Ficarotta, il figlio 38enne Leonardo e il nipote 40enne Paolo Vivirito, accusati di avere finanziato la mafia trapanese vicina al super latitante Matteo Messina Denaro.
Il provvedimento è stato emesso dal tribunale di Trapani-Sezione penale e misure di prevenzione, su proposta del direttore della Dia. Nei confronti del 67enne – già coinvolto negli anni Novanta in vicende giudiziarie per via dei suoi rapporti con i boss Giovanni Brusca e Baldassare Di Maggio – del figlio e del nipote è stata proposta, inoltre, la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno.
I presupposti che giustificano l’applicazione delle misure di prevenzione nei confronti dei tre imprenditori, con interessi economici nel trapanese, trovano fondamento, scrive la Dia di Trapani, nelle molteplici risultanze investigative provenienti dalle indagini sulle infiltrazioni della mafia trapanese negli investimenti immobiliari sui terreni agricoli, offerti all’asta nell’ambito di procedure esecutive. A seguito di tale vicenda, i tre imprenditori, insieme ad altri, sono stati destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, confermata dal Tribunale del riesame.
L’indagine – avviata anche grazie alle collaborazioni dei pentiti Attilio Fogazza, Nicolò Nicolosi e Lorenzo Cimarosa – permise di ricostruire gli interventi di alcuni mafiosi trapanesi nella gestione di una grossa operazione di speculazione immobiliare attraverso l’acquisto in un’asta giudiziaria di una vasta tenuta agricola di oltre sessanta ettari a Santa Ninfa, piccolo centro del Trapanese, in contrada Pionica, e la successiva rivendita alla società agricola “Vieffe” riconducibile ai Ficarotta e a Vivirito.
L’azienda agricola era di proprietà della moglie di Antonio Salvo, nipote dei noti esattori di Salemi: i cugini Nino e Ignazio (quest’ultimo venne assassinato nel 1992 da cosa nostra). La tenuta venne acquistata all’asta da Roberto Nicastri, fratello di Vito, noto imprenditore del settore eolico considerato vicino al superlatitante Matteo Messina Denaro, per poi essere ceduta alla “Vieffe” per 530mila euro. Il prezzo di vendita reale dei terreni era, però, notevolmente superiore a quello dichiarato negli atti notarili e la differenza, pari a oltre duecentomila euro, sarebbe stata versata dai Ficarotta e da Vivirito in contanti nelle mani degli uomini della mafia per la loro attività di “intermediazione immobiliare”.
Secondo alcune dichiarazioni di Cimarosa, inoltre, una parte di quel denaro sarebbe servita al mantenimento della latitanza di Messina Denaro. Cosa nostra trapanese avrebbe costretto l’originaria proprietaria dei terreni a rinunciare ai propri diritti di reimpianto dei vigneti della tenuta per consentire agli imprenditori di San Giuseppe Jato di ottenere finanziamenti comunitari per seicentomila euro, in parte distratti per pagare il prezzo della stessa azienda.
Dalle indagini, inoltre, è emerso come nel corso di riunioni riservate si sia parlato anche delle sorti di altri terreni sottoposti a procedure esecutive e appartenenti ad Antonio Salvo, marito di Giuseppa Salvo: in questo caso, però, il tentativo di infiltrazione progettato dalla mafia attraverso i tre imprenditori di San Giuseppe Jato non fu portata a termine per una difficoltà nel reperimento delle somme necessarie e per il rifiuto dell’aggiudicatario di cedere alle pressioni mafiose.