Riceviamo e pubblichiamo un contributo dell’ammiraglio di Divisione in ausiliaria Nicola De Felice, già comandante di Marisicilia.
Quando ero Addetto militare presso l’Ambasciata italiana in Tunisia, mi sorpresi nell’apprendere che la capitale straniera geograficamente più vicina a Tunisi fosse Roma. Catone, politico romano e convinto anti-cartaginese, mostrando in Senato una cesta piena di fichi freschi provenienti da Cartagine, sentenziò la storica frase: “Carthago delenda est” (Cartagine deve essere distrutta) dimostrando così come essa fosse troppo vicina a Roma e che quindi dovesse essere annientata.
Oggi la Tunisia, pur rimanendo un porto sicuro, sta vivendo il periodo più critico dai giorni della “rivoluzione dei gelsomini”. Scomparso il Presidente Essebsi e crollato al 7% del primo turno delle Presidenziali il Primo Ministro Yuseff Chaed, si è creato un pericoloso vuoto di potere. Con una deludente partecipazione al voto, le forze post-rivoluzionarie si sono presentate divise con 26 candidati.
Il secondo turno ha visto due candidati outsider: ha vinto il giurista Kais Saied che cavalca la radicale tradizione islamica, ma non ha un partito in Parlamento, contro il magnate della TV Nabil Karoui, da poco scarcerato. Un inquietante segnale di scetticismo verso quei partiti che vinsero le elezioni nel 2014: i laici di Nidaa Tounes e gli islamisti di Ennahda.
Le legislative del 6 ottobre hanno registrato un tasso di partecipazione al voto del 41,3% di cui solo il 16% dei giovani ed il 4% delle fanciulle, indicando politicamente un Paese assillato da mille sfaccettature claniche. Nel frattempo la situazione socioeconomica sta velocemente degradando. La disoccupazione sfiora il 50%; il dinaro si è inflazionato tre volte rispetto all’euro.
Con la politica migratoria italiana dei porti aperti, l’unica certezza è ora emigrare in Italia, pagando i trafficanti di esseri umani solo 500 euro, meno che per ottenere il visto al Consolato. Da Corbus partono, oltre ai “tunsi”, anche algerini e marocchini, con piccole imbarcazioni raggiungono il peschereccio fantasma che traina l’imbarcazione sino nelle acque italiane per poi sbarcare in Sicilia o in Sardegna.
Dal primo gennaio con punte massime a settembre 2019 i clandestini arrivati con gli sbarchi fantasma sono stati 3.807 su 7.632 (50%), 720 sono partiti dall’Algeria e 3.087 dalla Tunisia. Nello stesso periodo 3.085 dei 7.632 clandestini (40%), 2.175 sono tunisini, 771 algerini e 139 marocchini.
Dal 2015 i tunisini che emigrano sono di varia estrazione sociale: non solo i meno abbienti, ma anche i ragazzi della piccola borghesia diplomati che potrebbero essere la classe dirigente del futuro: doppio danno, a noi ed alla Tunisia.
Da rimarcare che la più alta percentuale di “Foreign Fighter” dell’ISIS identificati è quella dei tunisini (4.800). Per evitare un escalation di sbarchi fantasma di “naufraghi a pagamento” occorre incrementare esponenzialmente la capacità di dissuasione diplomatico-economica italiana sulle Autorità tunisine e sull’Unione Europea, subordinando gli accordi di cooperazione militare e commerciale ai rimpatri.
Condizionare, ad esempio, l’esportazione delle migliaia di tonnellate di olio di oliva tunisino sul mercato europeo ad un massiccio, costante e rapido rimpatrio dei migranti clandestini. Nel frattempo – scelleratamente – la Commissione europea sta pensando di aumentare le importazioni senza dazi dell’olio d’oliva tunisino: che i nostri eurodeputati mostrino al più presto ceste di fichi freschi tunisini a Strasburgo ed a Bruxelles, sperando che là si accorgano di quale rischio possa essere minacciata l’intera Europa se non si affronta congiuntamente il flusso incontrollato tunisino.
Nicola De Felice – ammiraglio di Divisione in Ausiliaria