Le mani di cosa nostra sul mercato del pesce. Gli investigatori hanno scandagliato a fondo il settore ed hanno scoperto che è diventato una nuova e prospera frontiera per gli affari dei boss.
Una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa è stata emessa dal Tribunale di Caltanissetta, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia nissena, confronti di un noto imprenditore siciliano, il 69enne Emanuele Catania, “ras” del pesce in Sicilia, attivo nel settore ittico, business già emerso come di interesse del clan mafioso Rinzivillo.
Sigilli ad aziende per un valore di 7 milioni di euro. Lo scorso 4 ottobre, in seguito alle indagini della questura di Caltanissetta e del Comando provinciale della Guardia di finanza di Roma, erano state arrestate 36 persone per associazione di stampo mafioso, plurimi episodi di estorsione e detenzione illegale di armi, riciclaggio e reimpiego di proventi illeciti, intestazione fittizia di società e traffici di droga.
L’operazione aveva fatto luce sugli interessi criminali e imprenditoriali riconducibili al clan Rinzivillo, pienamente operativo in Sicilia, nel Lazio, nel Nord Italia e in Germania, documentando come il lucroso commercio del pesce risultasse uno dei principali settori di investimento.
Salvatore Rinzivillo aveva avviato un rilevante import-export di pesce tra la Sicilia, il Marocco, il Lazio e la Germania, in forza della collaborazione avviata con Francesco Guttadauro – già condannato per associazione mafiosa e figlio del medico Giuseppe Guttadauro, anch’egli condannato per associazione mafiosa – titolare di attività commerciali in Sicilia ed in Marocco, dove dimorava, e ritenuto esponente di rilievo di cosa nostra palermitana.
Per sviluppare tale attività imprenditoriale, Rinzivillo si avvaleva – e continua ad avvalersi – di imprenditori organici al gruppo mafioso, operanti con imprese di cui lo stesso Rinzivillo è socio occulto o amministratore di fatto, fornendo anche i capitali necessari per la loro operatività, nonché di imprenditori, appartenenti al clan, che hanno favorito l’espansione sul mercato di riferimento ostacolando la concorrenza.
In Sicilia, cosa nostra ha letteralmente mappato il territorio nel settore della commercializzazione del pesce, evitando pericolose contrapposizioni ed imponendo, nei mercati ittici siciliani, la regola in base alla quale occorre pagare una cifra di denaro a titolo estorsivo alle cosche mafiose locali per potersi approvvigionare di pesce: di qui i documentati contatti di Rinzivillo con appartenenti ad altre cosche mafiose siciliane per estendere il proprio commercio anche nel trapanese, nell’agrigentino, nonché l’interessamento del boss gelese presso Antonio Giovanni Maranto, capo della cosca di Polizzi Generosa, pure arrestato lo scorso 4 ottobre, per ottenere l’autorizzazione affinché un commerciante ambulante di pesce potesse variare l’area territoriale di esercizio della propria attività.
Il provvedimento di oggi riguarda proprio l’imprenditore gelese Emanuele Catania, che aveva il compito di amministrare società e ditte individuali,tutte attive nel commercio all’ingrosso ed al dettaglio di prodotti ittici.
Quello tra Emanuele Catania e i fratelli Rinzivillo è un “legame a doppio filo”, esistente da circa trent’anni: sono numerosi i collaboratori di giustizia che hanno indicato Catania come imprenditore al servizio del clan di cosa Nostra, fin dai primi anni novanta. Una sinergia, utile all’imprenditore a far volare i suoi affari; e alle cosche per realizzare il riciclaggio dei proventi dei traffici di droga e delle estorsioni.