La procura di Palermo ha chiesto la condanna a 14 anni di reclusione per Mered Medhanie Yedhego, l’eritreo arrestato in Sudan ed estradato a giugno del 2016 in Italia con l’accusa di essere a capo di una delle maggiori organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti tra l’Africa e l’Europa. L’imputato si è sempre difeso sostenendo di essere vittima di un errore di persona.
L’accusa in aula è stata sostenuta dai pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri. Oltre a Mered Yedego erano imputati a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento e al traffico di esseri umani Afomia Eyasu, Andebrahan Tareke e Arouna Said Traore, per cui sono stati chiesti 10 anni, mentre per Muktar Hussein e Mahammad Elias e’ stata sollecitata una condanna a otto anni di carcere.
Il processo nasce da una inchiesta della Procura di Palermo sui trafficanti di uomini. I pm cercavano da anni quello che ritenevano uno dei capi dell’organizzazione che gestiva la tratta, conosciuto dall’autorità giudiziaria italiana come Mered Yehdego Medhanie, nome che potrebbe essere uno degli alias usati dal “boss”.
Fu la National Crime Agency brittanica a dare agli italiani l’informazione che il ricercato si trovava a Khartum, in Sudan. Gli inquirenti sudanesi e inglesi accertarono che aveva in uso più utenze cellulari una delle quali, intercettata dai magistrati palermitani, risultò collegata ad alcuni trafficanti di uomini che vivevano in Libia.
All’imputato vennero sequestrati una serie di biglietti alcuni dei quali con numeri di telefono di persone implicate nella traffico: 74 su 77 sarebbero, dicono i consulenti, scritti di pugno dell’imputato. Anche l’analisi delle telefonate fate col cellulare in uso all’eritreo avrebbero confermato i sospetti degli investigatori: nel corso di diverse conversazioni, infatti, si parlava di traffico di migranti.
L’indagato ha sempre negato che fosse suo il cellulare sequestrato e il suo legale ha sostenuto che quello arrestato non fosse il ricercato, ma Medhanie Tesfamariam Bere, un falegname che si trovava in Sudan con l’intenzione di raggiungere le coste africane per imbarcarsi per l’Europa e che, dunque, ci fosse stato un clamoroso errore di persona.
Il pm Ferrara nella requisitoria attacca i cronisti
Ha destato non poco clamore l’attacco sferrato dal pm Gery Ferrara nella sua requisitoria contro i giornalisti. Il magistrato avrebbe affermato che “una campagna stampa è stata per coprire il trafficante”. Immediate le reazioni di Assostampa Siciliana, il sindacato unitario dei giornalisti, e di Ordine dei giornalisti.
“L’Assostampa Siciliana, sindacato dei giornalisti, non può che respingere le inaccettabili affermazioni del pm Gery Ferrara che nel corso della requisitoria del processo a Mered Medhanie Yedhego, eritreo accusato di essere a capo di una delle maggiori organizzazioni di trafficanti di uomini, a giudizio davanti alla corte d’assise di Palermo, avrebbe affermato che “una campagna stampa è stata per coprire il trafficante”. Il traffico di essere umani è certamente un atto riprovevole, ma non si può pensare che ci siano giornalisti che decidono a tavolino di avviare campagne a favore di criminali. Ben altra cosa è portare avanti inchieste giornalistiche che possono non piacere a qualche magistrato ,ma che nella libertà e nell’autonomia professionale del cronista contribuiscono a fornire punti di vista diversi da quelli che emergono dalle inchieste delle procure. I giornalisti rispettano sempre l’operato della magistratura e per questo chiedono rispetto per il loro lavoro e la loro autonomia. Le parole di Ferrara ci sono apparse fuori luogo soprattutto perché provengono da un inquirente che conosce bene la freschezza e la libertà dell’articolo 21 della Costituzione italiana”.
“Campagna di stampa per coprire un trafficante? Giudizi pesanti che non ci si aspettano da un pubblico ministero”. E’ quanto afferma Giulio Francese, presidente dell’Ordine dei giornalisti Sicilia. “Si possono avere opinioni diverse ma sempre nel rispetto dei ruoli”, dice Francese, che prosegue: “I magistrati facciano la propria parte, cosi’ come i giornalisti devono fare la loro, raccontando i fatti e, quando questi non li convincono, ponendo domande e sollevando dubbi. Piaccia o non piaccia è il loro mestiere, ci mettono la faccia e se ne assumono le responsabilità personali e professionali”.