Al Baghdadi e un Siciliano invasero l’Europa con il gelato

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Gelato artigianale
gelato artigianale

Un buon gelato è sempre il migliore antidoto contro la calura dell’estate. Sia che si tratti di una granita o di un gelato artigianale, quel dessert frugale, consumato velocemente durante una pausa pranzo o in riva al mare ha una storia antica tutta Mediterranea e dai risvolti perfino sorprendenti.

Anche se alcuni documenti fanno risalire all’antica Grecia l’origine delle nostre “coppette”, sono stati gli Arabi a introdurre il gelato nell’Isola. “Sherbet” si chiamava il prodotto elaborato dai gastronomi maomettani che nel IX secolo allietavano le tavole delle corti musulmane di Spagna e Sicilia. A codificare in un libro la ricetta fu addirittura al-Baghdadi. Non stiamo parlando del sedicente califfo capo dell’Isis, ma di un omonimo vissuto più di ottocento anni prima. Muhammad bin al-Hasan bin Muhammad bin al-Karim al-Baghdadi, chiamato più semplicemente e soltanto al-Baghdadi, fu il compilatore che realizzò il più importante ricettario del mondo islamico medievale. Kitab al-Tabikh, “Libro di vivande” è la traduzione dell’opera che nella sua parte finale riporta ricette di dessert, succhi di frutta, sciroppi e sorbetti.

Dopo avere introdotto nell’Isola la coltivazione della canna da zucchero e dei limoni, i maestri gelatai impararono a miscelare miele (più tardi zucchero), erbe aromatiche e spezie. Il tutto veniva unito alla neve che diventava ghiaccio tramite l’aggiunta di sale. Per uno strano fenomeno fisico, infatti, l’aggiunta del sale alla neve ne determina un abbassamento della temperatura.  Limone, aromi naturali, gelsi, gelsomini diventarono così protagonisti dei dessert freddi consumati in Sicilia.

La materia prima, cioè la neve, contrariamente a quanto si possa pensare, era abbondante anche in estate. Nel’Isola, infatti, sono da sempre  presenti in prossimità delle cime più elevate delle “neviere”. Si trattava di vere e proprie buche che d’inverno venivano riempite dalle abbondanti nevicate. Nei mesi più caldi, la particolare conformazione di queste cavità, insieme alla sapiente arte dei “nivaroli” consentivano di prelevare blocchi di ghiaccio e trasportarli a valle, nelle città costiere. Erano il sale, abbondante in Sicilia, e uno strato di foglie e terriccio ad impedire che il sole sciogliesse il preziosissimo elemento. Quest’arte si trasmise da generazione in generazione per secoli fin quasi ai nostri giorni.

Ad alcune decine di chilometri da Palermo, sulle Madonie, si trovano ancor ora  tracce di quell’attività. Sul Piano della Principessa, sopra le Petralie a 1800 metri d’altezza, queste profonde doline mantengono tutt’oggi la neve fino ai mesi estivi. Ma tornando al nostro gustoso gelato, se è vero che dobbiamo la sua introduzione in Sicilia agli Arabi, è altrettanto vero che fu, in tempi più recenti, un siciliano a fare conoscere lo “sherbet” in Europa e nel mondo.

Si chiamava Francesco Procopio dei Coltelli ed era un cuoco. Palermo e la catanese Aci Trezza se ne contendono i natali. Aveva un chiodo fisso, elaborare un dessert che fosse più raffinato e solido rispetto al sorbetto. Cioè inventare quello che per noi è l’attuale gelato. Dopo vari tentativi Procopio azzeccò la formula. Fu a Parigi, nel 1686 che nacque la prima vera coppa artigianale. Il cuoco utilizzò lo zucchero al posto del miele, il sale mischiato con il ghiaccio e ottenne il risultato sperato. In quell’anno il siciliano aprì a Parigi il Café Procope, dove veniva servito quello che a buon diritto possiamo considerare l’antesignano del gelato artigianale. 

Procopio allietava le papille gustative dei suoi clienti con “acque gelate”, antenate della granita, gelati di frutta, ai “fiori d’anice”, alla cannella,  al frangipane,  al succo di limone, al succo d’arancio, al caffè o alla fragola, il tutto grazie ad una speciale autorizzazione regia con la quale Luigi XIV  aveva dato a Procopio l’esclusiva di quei dessert.

Quel locale alla moda diventò celebre e fu frequentato da personaggi come Voltaire, Balzac, Diderot, Victor Hugo, D’Alambert, il dotto Guillotin e persino da un giovane Napoleone Bonaparte. Il Café Procope esiste ancora, ma gli anni ne hanno modificato lo spirito originario e consumato il suo prestigio. Un po’ come il gelato confezionato, ormai lontanissimo parente dello sherbet arabo o delle coppette di Procopio.