La prima sezione penale della Corte di Cassazione si riunisce in giornata per valutare il ricorso presentato dai legali di Giovanni Brusca contro l’ultimo dei “no” agli arresti domiciliari chiesti dall’ex boss mafioso: il tribunale di sorveglianza di Roma, questa la tesi dei difensori, nel marzo scorso non avrebbe tenuto nella giusta considerazione le valutazioni della procura nazionale antimafia favorevoli alla concessione. A scriverlo è il “Corriere della Sera”. L’udienza si svolge a porte chiuse, senza la presenza dei difensori che hanno mandato memorie scritte. Il verdetto si conoscerà martedì.
Per la procura antimafia, infatti, “il contributo offerto da Brusca nel corso degli anni è stato attentamente vagliato e ripetutamente ritenuto attendibile da diversi organi giurisdizionali, sia sotto il profilo della credibilità soggettiva del collaboratore, sia sotto il profilo della attendibilità oggettiva delle singole dichiarazioni”. E comunque “sono stati acquisiti elementi rilevanti ai fini del ravvedimento del Brusca”: le sentenze che hanno riconosciuto “la centralità e rilevanza del contributo dichiarativo del collaboratore”, e “le relazioni e i pareri sul comportamento di Brusca in ambito carcerario e nel corso della fruizione dei precedenti permessi”.
Il killer di Capaci, l’uomo che ordinò di sequestrare e poi uccidere e sciogliere nell’acido il figlio del pentito Santo Di Matteo, “ha già usufruito di oltre 80 permessi premio – ricorda il quotidiano – Ogni volta esce di prigione per vari giorni e resta libero 11 ore al giorno (la sera deve rientrare a casa). Dando prova della “affidabilità esterna” certificata dagli operatori del carcere romano di Rebibbia”. Ma il tribunale di sorveglianza ha continuato a negare la detenzione domiciliare “ritenendo che per un mafioso del suo calibro, dalla ‘storia criminale unica e senza precedenti’, responsabile di “più di cento delitti commessi con le modalità più cruente”, che in virtù della collaborazione è stato condannato a 30 anni di prigione anziché all’ergastolo, il “ravvedimento” dev’essere qualcosa che va oltre ‘l’aspetto esteriore della condotta”.
“Un assassino, il killer della strage di Capaci, un mafioso libero di tornare a casa? Ma stiamo scherzando? In galera fino alla fine dei suoi giorni, non facciamo rivoltare nelle loro povere tombe i troppi morti per mano della mafia”. Lo scrive su facebook Matteo Salvini, leader della Lega.
“Un personaggio ancora ambiguo e non meritevole di ulteriori benefici”. Lo dice Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone ucciso dalla mafia nel 1992 e presidente della Fondazione Falcone, commenta la notizia della richiesta di arresti domiciliari avanzata dai legali del pentito Giovanni Brusca. L’ex boss di Cosa Nostra, in carcere da 23 anni, fu l’uomo che innescò l’esplosione che uccise il giudice Falcone e la sua scorta e fra i suoi tanti omicidi c’è anche quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il bimbo di 15 anni strangolato e sciolto nell’acido. “Fermo restando l’assoluto rispetto per le decisioni che prenderà la Cassazione – sottolinea Falcone – voglio ricordare che i magistrati si sono già espressi negativamente due volte sulla richiesta di domiciliari presentata dai legali di Giovanni Brusca. Il tribunale di sorveglianza di Roma, solo ad aprile scorso, negandogli la scarcerazione, ha avanzato pesantissimi dubbi sul suo reale ravvedimento. Mi limito a citare la motivazione del provvedimento in cui il tribunale, testualmente, ha scritto che non si ravvisava in Brusca “un mutamento profondo e sensibile della personalità tale da indurre un diverso modo di sentire e agire in armonia con i principi accolti dal consorzio civile”.