“Io sono nato mafioso, a me non mi ha fatto nessuno. Io ci sono nato mafioso, mi dovrei vergognare? E invece non mi vergogno”: rivendicava con orgoglio la sua appartenenza a Cosa nostra Angelo Occhipinti, boss di 64 anni, di Licata, fermato dai carabinieri che indagavano sui clan Agrigentini. Un capomafia all’antica, una gavetta nel clan e condanne per associazione mafiosa ed estorsione che non lo hanno mai allontanato dalla “famiglia”.
Tanto che, uscito dal carcere e nonostante la misura della sorveglianza speciale, aveva subito ripreso a occuparsi degli affari e delle incombenze della cosca esercitando il ruolo di capo e “mediatore” dal magazzino che aveva trasformato in quartier generale. Attento, diffidente, si era pure procurato un jammer, un apparecchio che disturba le frequenze e rende difficile effettuare le intercettazioni.
Ma nonostante le sue accortezze, i magistrati della Dda di Palermo sono riusciti ad ascoltare le sue conversazioni e ricostruire la mappa delle famiglie di Licata e Campobello di Licata, le estorsioni – una delle quali ai danni di una impresa che lavorava in Germania -, gli investimenti nelle slot-machines e le sue relazioni.
Anche con politici: come il consigliere comunale Giuseppe Scozzari, pure lui fermato e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Dalle intercettazioni spunta anche il nome di un deputato regionale: Carmelo Pullara, 48 anni, anche lui di Licata, eletto nel 2018 all’Ars nella lista degli Autonomisti e ora componente della Commissione Antimafia Regionale da cui si è autosospeso.
“Per me Pullara è buono. La gente che vuole mangiare buoni sono. Almeno sai che se ci vai per una cosa prende e te la fa”, diceva del parlamentare compaesano Occhipinti, facendo intendere al suo interlocutore di poter contare sulla disponibilità del politico.
“C’è stata una cosa senza che ci sono andato – spiegava – e gli ho detto che si deve mettere da parte e si è messo da parte. Angiolè che ti devo dire tutte cose? Pullara è buono perché è “mangiataro” (ingordo, ndr) vuole mangiare con sette forchette”.
Per i pm, Occhipinti e la sua cosca “erano capaci di condizionare le attività imprenditoriali e di spiegare il proprio potere mafioso, esercitando il pieno controllo delle dinamiche criminali comuni della zona e infiltrando le istituzioni locali, mediante l’acquisita disponibilità di amministratori infedeli”.
Il riferimento è a Scozzari, consigliere comunale che, secondo l’accusa, sarebbe stato eletto proprio grazie all’appoggio del clan di Occhipinti. E il politico, che di mestiere faceva il funzionario all’Asp, avrebbe ricambiato garantendo corsie preferenziali nel servizio sanitario a chi era raccomandato dal boss e facendo ottenere al capomafia e ai suoi soci la regolarizzazione amministrativa di un’area sequestrata.(ANSA)