L’Ammiraglio in ausiliaria Nicola De Felice commenta i recenti risvolti della crisi libica e le possibili ripercussioni per l’ Italia.
Il caos in Libia rischia di farci catapultare foreign fighters dell’Isis già combattenti in Siria direttamente in Sicilia.
Quello che deve preoccupare di più è l’incosciente che spola delle navi delle Ong tra le coste libiche e l’Italia, potenziali traghettatori di cellule terroristiche.
Ricordo che con la “Sea Watch 3” di Carola Rackete arrivarono i tre torturatori libici poi arrestati. La politica dei porti aperti non può che accentuare il fenomeno. Il Viminale già a Natale aveva emesso un’ordinanza con cui parlava di “persistenza della minaccia terroristica internazionale”.
Ma c’è qualcosa in più da evidenziare: ben presto avremo in Libia combattenti stranieri che oltre a minare la sicurezza nazionale con il controllo del rubinetto dei flussi migratori, delle armi e della droga, avremo degli eserciti di mercenari che condizioneranno pesantemente i nostri interessi economici ponendo le mani sulle concessioni petrolifere dell’ENI, sulle piattaforme off-shore e sul gasdotto Greenstream che collega la Libia con Gela, da lì nella rete nazionale fino a permettere alle nostre casalinghe di Verona di preparare il caffè ogni mattina.
Ciò che sconcerta non è tanto quello che fanno le altre nazioni come la Turchia o la Russia, ma quello che non fa il nostro governo per tutelare i nostri interessi nazionali in Libia.
La conservazione della libertà di un popolo è direttamente proporzionale alla capacità del suo governo di tutelare i suoi interessi nazionali. Senza degli statisti capaci di definire e di attuare una strategia di sicurezza nazionale, l’Italia è persa.
Nicola De Felice, ammiraglio di divisione in ausiliaria