Potrebbe ridimensionarsi il caso Siri (in foto), il sottosegretario leghista coinvolto nell’inchiesta su un presunto giro di tangenti nel mondo dell’energia.
Secondo quanto si è appreso da fonti vicine all’indagine, seguita dalla Dia sulla base degli ultimi atti depositati al tribunale del riesame di Palermo, non vi sarebbero contestazioni possibili per il sottosegretario salviniano. Non emergerebbero, infatti, contatti diretti tra il professor Paolo Franco Arata e Armando Siri nell’ultima informativa riguardo l’inchiesta su un presunto giro di mazzette a funzionari regionali siciliani per ottenere le autorizzazioni per la costruzione e l’esercizio degli impianti di bio-metano di Franconfonte e Calatafimi e per le costruzioni di impianti di produzione di energia alternativa.
Il difensore di Arata, l’avvocato Gaetano Scalise, ha spiegato: “A quanto mi consta nella documentazione messa a disposizione dalla Procura siciliana vi sono esclusivamente atti che si riferiscono alla vicenda di Palermo”.
Gli accertamenti sono condotti dalla Direzione investigativa antimafia di Trapani. Siri, secondo l’accusa, avrebbe ricevuto denaro per modificare un norma da inserire nel Def 2018 che avrebbe favorito l’erogazione di contributi per le imprese che operano nelle energie rinnovabili. Norma mai approvata, però.
Sarebbe stata di 30mila euro la presunta mazzetta intascaa dal sottosegretario ai Trasporti della Lega. L’indagine è nata a Palermo e coinvolge un imprenditore dell’eolico, Vito Nicastri, ritenuto vicino a Cosa nostra e noto come il “signore del vento”.
A consegnare il denaro a Siri – secondo l’iniziale prospettazione accusatoria – sarebbe stato il professor Arata, ex deputato Fi, ed estensore del programma sull’energia della Lega e in affari, sempre per i pm, con Nicastri. “Ma non ci sono contatti tra Arata e Siri”, si sottolinea adesso.