Pollice verso sul Piano regionale di gestione rifiuti della Sicilia. Per Legambiente non decide su prevenzione e riduzione dei rifiuti, non esclude la realizzazione di inceneritori e non tiene conto delle esigenze del territorio per il trattamento dell’umido.
Il dossier “Impianti rifiuti Sicilia” è stato presentato a Palermo. La raccolta differenziata, su una media nazionale del 55,5% raggiunto nel 2017, vede la regione fanalino di coda con una media del 22%, ben al di sotto dell’obiettivo nazionale del 65%. Tuttavia, nel 2018 si è registrato un trend positivo per i primi nove mesi del 2018.
Dai dati Ispra (riferiti al 31 dicembre 2017) su una produzione totale di rifiuti su scala regionale di 2.299.125 tonnellate, la quantità di rifiuti differenziati si attesta a 498.630 tonnellate, mentre sono ben 1.795.700 le tonnellate di rifiuto indifferenziato che vanno a smaltimento insieme a 4.795 tonnellate di ingombranti. Vale a dire che la differenziata in Sicilia nel anno 2017 si attestava al 22% e – di questa ridotta percentuale – il 40,6% era costituito dalla frazione organica, quasi il 10% del rifiuto totale.
Peraltro il rifiuto indifferenziato prodotto in Sicilia non può essere definito Rifiuto urbano residuo perché di fatto più che di residuale – vale a dire ciò che ancora non è differenziabile perché tecnicamente non riciclabile – è appunto indifferenziato – ciò che i siciliani ancora non vogliono differenziare o che i Comuni si ostinano a raccogliere in modo indifferenziato, nonostante gli obblighi di legge. In tema di discariche, nel Piano si prevede un ampliamento per quelle esistenti da una capacità (ad ottobre 2018) di circa 3 milioni di metri cubi a 10 milioni di metri cubi (senza considerare i 2.800.000 di metri cubi di una discarica che potrebbe sorgere a Centuripe) e l’individuazione nei prossimi sette anni di cinque siti alternativi. A questi dati oggettivi si aggiunge,rileva Legambiente, “la vaghezza” in merito agli impianti di recupero energetico (inceneritori), la cui ipotesi di realizzazione non viene esclusa: dunque si riapre agli inceneritori e si lascia la decisione alle autorità territoriali.
“Dalle analisi effettuate – sottolinea Anita Astuto, che ha redatto il dossier – emerge una impreparazione del territorio ad intercettare tali frazioni in un circuito virtuoso fatto di Centri comunali di raccolta con annessi centri per il Riuso, di raccolte a domicilio, di convenzioni dei Comuni con i consorzi di filiera – per i rifiuti urbani, ma anche di piattaforme consortili per la gestione dei rifiuti di imballaggio provenienti da attività economiche, infine di impianti industriali con soluzioni tecnologiche innovative. Per di più, nella nuova pianificazione regionale c’è poco in tal senso. Nulla di concreto si mette in campo per la prevenzione e riduzione del rifiuto”.
La Regione siciliana, al netto dell’accordo di programma con il Conai, siglato a febbraio 2019, per Legambiente, “pare che abbia voluto lasciare alla buona volontà dei Comuni l’organizzazione di tutta la macchina della riduzione, riutilizzo, preparazione al riutilizzo e riciclo che invece, nell’ottica dell’economia circolare, è proprio quella che va pianificata”.
Ad esempio il dato siciliano di tre Centri di raccolta per Raee ogni 100 mila abitanti è il più basso di tutto il sud Italia tanto che la raccolta pro capite di Raee è di 2,49 Kg/ab su una media nazionale di 5 Kg/ab, ma non basta aumentare la concentrazione sul territorio come ad esempio dimostra il raffronto tra il dato di Agrigento e quello di Ragusa, da cui si evince che il dato procapite di raccolta è maggiore a Ragusa piuttosto che ad Agrigento, nonostante nella prima siano presenti solo 6 Cdr e nella seconda 20.
Per quanto riguarda gli impianti per il trattamento della frazione organica la pianificazione su scala regionale richiederebbe l’impegno di analizzare, caso per caso e territorio per territorio, il fabbisogno e la relativa capacità impiantistica – attuale e in divenire – così poi da dotarsi dei soli impianti necessari, evitando di prevedere lunghi spostamenti di rifiuti e con le scelte tecnologiche più sostenibili.
Vi sono, infatti, ambiti territoriali oggi totalmente sprovvisti di impianti per il trattamento della frazione organica e senza alcun impianto in previsione: per tali ambiti territoriali la Regione Siciliana nel nuovo Piano di gestione dei rifiuti si limita ad “augurarsi” una qualche iniziativa privata.
La capacità di trattamento della frazione organica attualmente è di circa 640.000 t/a a fronte di un fabbisogno (calcolato sui dati del 2017 con una raccolta differenziata al 22%) di circa 208.000 t/a, in realtà una capacità già sufficiente anche al raggiungimento dell’obiettivo del 65% di differenziata per cui la produzione della frazione organica sarebbe dell’ordine delle 600 mila tonnellate annue: eppure siamo sempre in emergenza e per di più in previsione c’è un aumento della capacità di trattamento della frazione organica a 1.900.000 t/a.
“Piuttosto, dunque, che limitarsi ad una ricognizione dell’impiantistica esistente e in divenire, nel Prgr avremmo voluto vedere una pianificazione della stessa – continua Astuto – al fine di porre le basi per il raggiungimento degli obiettivi che la Regione Siciliana dice di prefiggersi, quale ad esempio quello dell’autosufficienza di ogni ambito territoriale”.
“Questo lavoro – ha detto Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia – nasce dalla volontà di dare un contributo significativo al tema rifiuti proprio in un momento cruciale che vede la nostra regione uscire dall’assetto emergenziale durato decenni in vista dell’approvazione del Piano regionale di gestione rifiuti, il primo in via ordinaria”. (AGI)