Un’iniziativa in Sicilia contro le querele-bavaglio e per spingere l’abrogazione del carcere per i giornalisti, come peraltro chiesto più volte all’Italia dalle istituzioni europee, coinvolgendo il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e il viceministro Matteo Mauri. E’ la proposta lanciata dal presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, e raccolta dal presidente della commissione regionale Antimafia, Claudio Fava, nell’ambito di una conferenza stampa, a Palazzo dei Normanni, sul caso del giornalista Rino Giacalone, condannato per diffamazione dalla Corte d’appello di Palermo per avere definito “pezzo di merda” il mafioso Mariano Agate.
Presenti alla conferenza stampa il segretario regionale dell’Associazione Siciliana della Stampa Roberto Ginex e il segretario provinciale della sezione di Trapani Vito Orlando, e per l’Ordine dei giornalisti di Sicilia Franco Nicastro.
“Abbiamo ritenuto – ha sottolineato Claudio Fava – che l’Ars fosse cornice istituzionale più appropriata per esprimere qualche preoccupazione sugli effetti che alcune sentenze possono produrre sulla professione giornalistica come quella subita da Rino Giacalone per la condanna di diffamazione nei confronti del boss Mariano Agate. Non commento le sentenze – ha proseguito Claudio Fava – ma quella nei confronti di Rino Giacalone mi sembra decontestualizzata. Giacalone è uno dei pochi giornalisti che a Trapani abbia avuto l’ardire di scrivere non solo di mafia ma degli innominabili amici dei mafiosi, di carriere straordinarie di notabili e sul grumo d’interessi politici, imprenditoriali, mafiosi e massonici”.
“Mariano Agate era tutto questo – ha detto Claudio Fava – Era massone, braccio destro di Totò Riina e responsabile di numerosi atti criminali. Considero la punizione inflitta a Giacalone decontestualizzata da quello che è accaduto in quella provincia”. Fava ha ricordato “la battuta di Peppino Impastato” che definì la mafia “una montagna di merda”: espressione “entrata nella letteratura, molto utilizzata persino dall’ex presidente della Regione siciliana Totò Cuffaro”, e “non ci ricordiamo un’azione per danno portata avanti nei confronti di Impastato, trattato in altro modo”.
Secondo Claudio Fava, avere definito “pezzo di merda” Agate “sarà poco elegante sul piano della sintassi, ma non riteniamo grave l’affermazione se raccontiamo in quale contesto ci si trova. C’è una parte dell’informazione siciliana che ha scelto di tenere la schiena dritta – ha proseguito Claudio Fava – e se non ci fossero cronisti come Giacolone il lavoro della nostra commissione sarebbe inutile. E quindi siamo attenti e preoccupati quando i giornalisti ricevono segnali stravaganti e preoccupanti”.
Il caso è quello del giornalista trapanese Rino Giacalone, condannato il 13 gennaio scorso, dalla Corte di appello di Palermo, a una multa di 600 euro per diffamazione aggravata nei confronti del boss Mariano Agate, definito “pezzo di merda”. Il pg aveva chiesto la condanna a 4 mesi di reclusione. I familiari del boss hanno querelato il giornalista che in primo grado nel 2017 era stato assolto. Ma dopo un ricorso “per saltum” del pubblico ministero Franco Belvisi, la Cassazione aveva annullato la sentenza e disposto un nuovo processo che ora si e’ concluso con la condanna di Giacalone condannato anche a risarcire con 500 euro ciascuno dei familiari di Agate.
“Non amo commentare le sentenze – ha precisato Caludio Fava – . Ma Rino Giacalone è uno dei pochi giornalisti che a Trapani, quando si usava obbedir tacendo, ha scritto di mafia e degli innominabili amici dei mafiosi, dei notabili e dei punti di incontro tra gli interessi politico-mafiosi-imprenditoriali-massonici. Mariano Agate – ha aggiunto Fava – era onorevole membro massonico, faceva parte della commissione guidata da Salvatore Riina. Quella è una sentenza che propone elementi di preoccupazione. Perché sulla battuta di Impastato ‘la mafia è una montagna di merda – ormai entrata nel linguaggio comune – noi non ci ricordiamo di una azione civile da parte della commissione di cosa nostra nei confronti di Impastato ma ci ricordiamo la reazione e come e’ finita”
Beppe Giulietti, presidente della Fnsi, il sindacato nazionale dei giornalisti, ha ricordato che “la precedente commissione nazionale Antimafia, nella sua relazione approvata all’unanimità, ha fornito cinque indicazioni” ma che finora “non hanno avuto un’applicazione legislativa. Basta tradurre le cinque condizioni proposte dalla commissione – ha aggiunto Giulietti – per liberare i giornalisti dalle minacce quotidiane. Chi colpisce il cronista vuole imbavagliare il cittadino”.
Per Giulietti la sentenza Giacalone “è preoccupante: la richiesta del carcere è pericolosa. Tra qualche settimana la Corte costituzionale si deve pronunciare sulla liceità del carcere, grazie all’eccezione sollevata dalla Campania – ha affermato – Così come si sa che in Parlamento è depositato, in commissione Giustizia del Senato, un provvedimento che prevede l’abrogazione del carcere: sarebbe bastato tenere conto dell’autorevolezza di queste fonti”.