Scandalo Ciapi, Giacchetto si difende: “Ma quale sistema, adesso tiro io fuori i documenti veri”

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“Ma quale ‘sistema Giacchetto’… Io non so neppure che cosa sia la Formazione, non me ne sono mai occupato, questo glielo posso assicurare. Non ho mai avuto un ente di formazione”. A parlare è Fausto Giacchetto, il project manager, ritenuto la “mente” del comitato d’affari che, secondo la Procura di Palermo, si sarebbe appropriato di svariati milioni di euro destinati all’ente di formazione Ciapi e pilotato diverse gare d’appalto per la gestione della comunicazione dei grandi eventi siciliani.

Giacchetto, sotto processo per corruzione e turbativa d’asta, associazione per delinquere e truffa, oggi si è presentato al Palazzo di Giustizia per un’udienza del dibattimento. Alla domanda se esiste un “sistema Giacchetto”, come sostengono i pm, il manager, difeso dall’avvocato Giovanni Di Benedetto, ha spiegato al cronista dell’Adnkronos: “Il sistema Giacchetto? Non spetta a me dire se esisteva, spetta ai giudici. Io posso dire che ho le idee abbastanza chiare…”.

Fatture gonfiate e operazioni immobiliari, secondo l’accusa, avrebbero permesso a Faustino Giacchetto, arrestato due anni fa con altre sedici persone, tra cui politici e burocrati, di avere a disposizione milioni di euro, finanziati all’ente di formazioni Ciapi, con i quali avrebbe acquistato orologi di lusso, auto e perfino lavatrici. Con quei soldi poteva inoltre avere, sempre secondo l’accusa, abbonamenti gratis allo stadio e stampare volantini per le campagne elettorali di alcuni parlamentari regionali che voleva ingraziarsi.

A raccontare ai pm il “sistema Giacchetto” sono state due gole profonde: Angelo Vitale, legale rappresentante della Sicily Comunication, e Sergio Colli, titolare della Media Consulting, due società in realtà riconducibili a Giacchetto che, attraverso operazioni finanziarie complesse, faceva confluire lì i soldi del Ciapi. Ma Giacchetto respinge tutte le accuse e dice: “Io con i miei soldi faccio quello che voglio, in ogni caso si vada a leggere la direttiva Agcom del 2010, su come funziona il mercato della pubblicità in Italia. Io, nella mia attività professionale, ho fatto quello che dice l’Agcom”. E alla domanda se non ha fatto nessun errore, allarga le braccia e dice: “Non spetta a me giudicare, io posso dire ciò che ho fatto e se ho sbagliato pagherò, il mio comportamento lo decideranno i giudici”.

Ma torna poi a parlare del “sistema Giacchetto” ribadendo che “questo sistema è fatto da ben 1.786 decisioni dirigenziali”. E alla domanda su cosa voglia dire, tira fuori dalla borsa un foglio grandissimo con numeri e cifre. Ma non lo mostra. “Lo depositerà al processo – dice – qui c’è spiegato tutto. Quando c’è un flusso di denaro, da dove parte a dove arriva, è stato ricostruito il flusso. Sono 1.786 decisioni prese da comitati, Cda, cabine di regia.Parlano le carte. Non io. Finalmente in un foglio ho spiegato il ‘sistema’, bisogna capire che sistema è. In ogni caso quando sarò interrogato spiegherò tutto, piuttosto perché non si legge l’interrogatorio del pentito che mi accusa? Perché non vede quanto spendeva il figlio al mese all’Hollywood…?”.

Ai magistrati Angelo Vitale aveva raccontato il funzionamento del sistema: “Sono in imbarazzo nel rendere queste dichiarazioni – aveva detto ai pm Vitale – ma, in pratica, col tempo sono diventato un factotum di Giacchetto che, a fronte di uno stipendio mensile di circa tremila euro, mi dava indicazioni sul come gestire la società. Col passare degli anni la mia soggezione nei confronti di Giacchetto è aumentata a dismisura: mi ha psicologicamente annullato come persona e come uomo, tutte le mie azioni sono state e sono tuttora da lui completamente controllate”.

Vitale aveva parlato anche di minacce. “Lo stato di sudditanza psicologica era dovuto anche a delle minacce che, in più occasioni, mi sono state formulate o in modo esplicito (mi ha detto “ti ammazzo”) o in modo tacito (ad esempio, mi prospettava il licenziamento o la mancata corresponsione dello stipendio)”. Vitale aveva poi spiegato anche di come “attraverso la sovrafatturazione di alcune fatture emesse dal Palermo Calcio per delle pubblicità, Giacchetto poteva ottenere degli abbonamenti per lo stadio. A ciò devono aggiungersi tutta una serie di operazioni finanziarie e immobiliari, del tutto concordate con il Giacchetto, finalizzate a trasferire in suo favore consistenti somme di denaro. Il più delle volte, le fatture emesse dalla società sono di comodo o perchè relative a prestazioni mai rese o perchè riportanti importi maggiorati rispetto al reale valore dei servizi resi”. I soldi servivano, secondo Vitale, a finanziare anche le campagne elettorali di alcuni politici.